1) opposizione ed odio verso l’altro che si struttura come parte maschile-fallica e che prende l’avvio dall’opposizione al padre-arcaico-immaginario considerato perfido e primum movens di tutti i mali;
2) “oggetto genitoriale” deformato per la prevaricazione del fallo sadico sul seno sottomesso
3) il seno, sottomesso al padre-fallo, diventa responsabile di questa adesività ed anche dell’abbandono del figlio;
Se volete leggerla per intero ecco il pdf del testo
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Lo ha scritto il Prof Romeo Lucioni che è Presidente dell’ A.G.R.E.S. di Cislago dove dirige il “Centro per la Terapia dell’autismo e delle sindromi regressive”. Ognuno è libero d’ esprimere il suo pensiero, sarò sempre il primo a sostenerlo, l’ importante è che qualcuno dica che questo non serve a nulla per risolvere i problemi degli autistici.
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QUESTA E’ INVECE LA REALTA’ SULL’ AUTISMO DI CUI VORREI SENTIR DISCUTERE
Diario della transizione/3
I disabili, i più diseguali nella crescita delle diseguaglianze sociali
Roma, 17 maggio 2014 – Aumentano di numero, ma sotto traccia, senza un’immagine e un’identità precisa. Il Censis stima, facendo riferimento alla percezione soggettiva, una percentuale di persone con disabilità pari al 6,7% della popolazione totale, cioè complessivamente 4,1 milioni di persone. Nel 2020 arriveranno a 4,8 milioni (il 7,9% della popolazione) e raggiungeranno i 6,7 milioni nel 2040 (il 10,7%). Eppure l’universo delle disabilità non riesce a uscire dal cono d’ombra in cui si trova, non solo nelle statistiche pubbliche (i dati ufficiali dell’Istat sono fermi al 2005), ma anche nell’immaginario collettivo e nel linguaggio comune. Un italiano su 4 afferma che non gli è mai capitato di avere a che fare con persone disabili. E la disabilità è percepita da 2 italiani su 3 essenzialmente come limitazione dei movimenti, mentre in realtà la disabilità intellettiva è più diffusa in età evolutiva e rappresenta l’aspetto più misconosciuto, al limite della rimozione.
Anche i disabili crescono. Quando poi avanzano nell’età, le persone con disabilità intellettiva sono ancora più invisibili. Oggi in Italia le persone con sindrome di Down sono circa 48.000, di cui solo il 21% ha fino a 14 anni. La fascia d’età più ampia è quella da 15 a 44 anni, pari al 66%, e il 13% ha più di 44 anni. L’aspettativa di vita alla nascita è di 61,6 anni per i maschi e di 57,8 anni per le femmine. Le persone affette da disturbi dello spettro autistico si stimano pari all’1% della popolazione, circa 500.000.
I disabili minori, ovvero l’inclusione incompiuta. Il modello di risposta alla disabilità del nostro welfare si basa in modo informale sulla famiglia, che non solo diventa il soggetto centrale della cura, ma spesso viene anche coinvolta nello stesso percorso di marginalità e isolamento che tende ad accentuarsi quando le persone disabili crescono. Fino alla minore età, le famiglie possono contare su uno dei pochi, se non l’unico, punto di forza della risposta istituzionale alla disabilità, cioè l’inclusione scolastica, che pur con tutti i suoi limiti e difficoltà rappresenta un’importante occasione di inclusione sociale. Il numero di alunni disabili nella scuola statale è cresciuto dai 202.314 dell’anno scolastico 2012/2013 ai 209.814 del 2013/2014 (+3,7%). Contemporaneamente è aumentato il numero dei docenti di sostegno: dai 101.301 del 2012/2013 ai 110.216 del 2013/2014 (+8,8%). Secondo un’indagine del Censis, i bambini Down in età prescolare che frequentano il nido o la scuola dell’infanzia sono l’82,1%, tra i 7 e i 14 anni l’inclusione scolastica raggiunge il 97,4%, ma già tra i 15 e i 24 anni la percentuale scende a poco meno della metà, anche se l’11,2% prosegue il percorso formativo a livello professionale. Tra i ragazzi affetti da disturbi dello spettro autistico, fino a 19 anni è il 93,4% a frequentare la scuola, ma il dato scende al 67,1% tra i 14 e i 20 anni, e arriva al 6,7% tra chi ha più di 20 anni.
Dopo la scuola: tutti a casa. Il destino dei ragazzi ormai grandi che escono dal sistema scolastico è sintetizzabile con una parola: dissolvenza. Oltre l’età scolastica, gli adulti Down e autistici scompaiono nelle loro case, con ridottissime opportunità di inserimento sociale e di esercizio del loro diritto alle pari opportunità. Nel mondo del lavoro l’inclusione è pressoché inesistente. Ha un lavoro solo il 31,4% delle persone Down over 24 anni. E la maggioranza di quelli che lavorano (oltre il 60%) non è comunque inquadrata con contratti di lavoro standard. Nella maggior parte dei casi lavorano in cooperative sociali, spesso senza un vero e proprio contratto. In oltre il 70% dei casi non ricevono nessun compenso o ne percepiscono uno minimo, comunque inferiore alla normale retribuzione per il lavoro che svolgono. Ancora più grave è la situazione per le persone autistiche: a lavorare è solo il 10% degli over 20.
La delega alla famiglia: dalle istituzioni soprattutto soldi, ma meno che nel resto d’Europa (e meno del 6% in servizi). I disabili adulti rimangono in carico alla responsabilità delle loro famiglie, con sostegni istituzionali limitati, focalizzati quasi esclusivamente sul supporto economico. Anche in questo caso, però, dal confronto con gli altri Paesi europei emerge che la spesa per le prestazioni di protezione sociale per la disabilità, cash e in natura, è pari a 437 euro pro-capite all’anno, superiore solo al dato della Spagna (404 euro) e molto inferiore alla media europea di 535 euro (il 18,3% in meno). Colpisce quanto poco sviluppata sia la spesa per i servizi in natura, che rappresenta solo il 5,8% del totale, cioè 25 euro pro-capite annui, meno di un quinto della media europea e inferiore anche al dato della Spagna. Le opportunità di accesso ai servizi si riducono per i disabili adulti. Tra le persone Down di 25 anni e oltre, il 32,9% frequenta un centro diurno, ma il 24,3% non fa nulla, sta a casa. Tra le persone con autismo dai 21 anni in su, il 50% frequenta un centro diurno, ma il 21,7% non svolge nessuna attività. Tra le ore dedicate all’assistenza diretta e quelle di semplice sorveglianza, i genitori delle persone autistiche e delle persone Down spendono complessivamente 17 ore al giorno. La valorizzazione economica di questo tempo (equiparando le ore di assistenza a quelle retribuite con il minimo tabellare di un assistente sanitario e quelle di sorveglianza al compenso di un collaboratore domestico) arriva a una cifra annua davvero consistente: circa 44.000 euro per famiglia nel caso delle persone Down e circa 51.000 euro per le persone affette da disturbi dello spettro autistico. La portata dell’impegno familiare nella gestione assistenziale delle disabilità emerge con crudezza da questi dati, soprattutto se si pensa al valore contenuto del Fondo per la non autosufficienza da poco rifinanziato, che ammonta per il 2014 a soli 340 milioni di euro ripartititi tra le Regioni per sviluppare i servizi integrati socio-assistenziali e sanitari e la domiciliarità.
Il «dopo di noi»: quale futuro senza le famiglie? Nel tempo aumenta il senso di abbandono delle famiglie e cresce la quota di quelle che lamentano di non poter contare sull’aiuto di nessuno pensando alla prospettiva di vita futura dei propri figli disabili. Mentre tra i genitori di bambini e ragazzi Down fino a 15 anni la quota di genitori che pensa a un «dopo di noi» in cui il proprio figlio avrà una vita autonoma o semi-autonoma varia tra il 30% e il 40%, tra i genitori degli adulti la percentuale si riduce al 12%. La quota di genitori di bambini e adolescenti autistici che prospettano una situazione futura di autonomia anche parziale per i loro figli (23%) si riduce ancora più drasticamente (5%) tra le famiglie che hanno un figlio autistico di 21 anni e più.
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Secondo una recente indagine del Censis, in Italia i disabili sono più di 4 milioni e raggiungeranno il 6,7 milioni nel 2040. Ma nonostante il dato, tutt’altro che trascurabile, continuano di fatto ad essere cittadini scomodi, e di fatto ignorati da gran parte della classe politica, come anche la recente campagna elettorale sta dimostrando, preferendo rivolgersi alle famiglie proprietarie di cani e gatti. Ma chiunque abbia a che fare con questo universo, sa che soprattutto dopo l’infanzia, queste persone sono destinate all’invisibilità, e nella maggioranza dei casi a rimanere a carico delle famiglie, finché genitore i e parenti ce la faranno fisicamente ed economicamente, ma dopo? Lo chiediamo a Giuseppe Roma, sociologo e direttore del Censis che ci spiegherà come la disabilità sia percepita da 2 italiani su 3 essenzialmente come limitazione dei movimenti, mentre in realtà la disabilità intellettiva è più diffusa in età evolutiva.
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