Il casco rosso
Un incontro dove si è parlato di autismo e scuola. Fantastica location, zelo e fervore ammirabili, e non lo dico con ironia. Persino amministratori illuminati, quanto c’è di più vicino a noi autistici della politica nazionale, addirittura l’idea follemente seducente che un vecchio palazzo del 500, con vista mozzafiato, possa presto diventare un laboratorio per restituire dignità d’esistenza ai nostri ragazzi. La serata non poteva finire meglio, davanti a una tagliata al rosmarino…Ancora progettando e sognando.
Questa mattina sono ripartito all’alba verso Roma. Mentre aspettavo il trenino, che in un paio d’ore mi avrebbe portato a casa, incrocio nella stazione semideserta una mamma che si trascinava sottobraccio il gigante autistico che la sorte le ha dato in dotazione. Lo faceva sorridendo e monologando con lui per tranquillizzarlo…Come noi si fa di solito quando si teme la straveria sempre in agguato. Il ragazzo indossava il classico caschetto imbottito…La misura preventiva necessaria quando i nostri figli si danno pugni o prendono a testate il muro.
Ho pensato che quella madre di boxeur, che combatte solo contro se stesso, nemmeno avrà saputo che, nella sua cittadina e per tre giorni, hanno parlato di quella roba che assorbe ogni istante della sua vita.
Ne hanno parlato psicologi, insegnanti, professori, esperti. Si è parlato di leggi, di formazione, di programmi didattici e psicopedagogia, ma era tutta gente che il suo ragazzo non l’avrebbe mai visto in faccia, troppo grande ormai per un banco di scuola, troppo autistico di sicuro perchè i professionisti della neurodiversità si prendano concretamente a cuore i suoi fragili pensieri. I pensieri ballerini di un autistico fantasma che la mamma protegge come può, con le sue sole forze e un caschetto di gommapiuma rosso.