Famiglie “adottano” adulti autistici. In Israele
Le belle notizie, qualche volta, bisogna andarsele a trovare lontano. E così accade di scovare, grazie a un giornale israeliano, le fondamenta, già ben avviate, di una vera e propria “città dell’integrazione e della convivenza”, in un paese che sulla convivenza lavora con fatica da secoli: ci sono infatti buone possibilità che proprio da Israele parta un nuovo modello di comunità per adulti con esigenze speciali. Si chiamerà Shibolet e sarà una città pensata e progettata per accogliere famiglie israeliane “ordinarie” accanto a “straordinari” adulti autistici. Ad alto funzionamento, intendiamoci. Alcune settimane fa, le istituzioni israeliane hanno affidato a questa comunità un bel pezzo di terra, su cui andranno a vivere, in un primo momento, 50 famiglie e 12 adulti con autismo, selezionati dal ministero del Welfare e dall’Istituto previdenziale nazionale: la nostra Inps, insomma. I membri della comunità, disabili e non, saranno impiegati nei servizi locali e nelle attività agricole. Condivisione e integrazione si realizzeranno quindi nel lavoro, ma anche nella vita di tutti i giorni, salvaguardando però l’intimità delle famiglie, che apriranno sì le porte delle loro case ai cosiddetti “tenants” e condivideranno con loro molti momenti della giornata, come pure feste e cerimonie, ma tuttavia vivranno in spazi separati. Un vero e proprio villaggio dell’integrazione, quindi, in cui però non si perderà il senso e l’identità della famiglia.
Per quanto riguarda la logistica e la “toponomastica” del villaggio, esso sarà diviso in lotti, una parte dei quali destinati ad appartamenti per gli adulti con esigenze speciali, che vivranno in gruppi da quattro a otto persone. Alla guida di questa utopica realtà c’è Ofir Shick, che fino a qualche anno fa viveva con sua moglie nel kibbutz di Rosh Tzurim: lì, a un certo punto, fu introdotto un programma di “integrazione” rivolto proprio all’accoglienza e l’inclusione di persone “con esigenze speciali”: un’idea che però non piacque a tutti e anzi divise gli animi. Fu allora che Shick, insieme ad altre famiglie del kibbutz particolarmente sensibili a questo tema, pensò di creare una comunità tutta orientata a questo scopo. Dopo vari passaggi burocratici, il progetto è stato approvato all’unanimità dal ministero dell’Interno, che ha assegnato anche questo bel pezzo di terra alla comunità, affinché possa mettere le gambe alla propria idea. Certo, il progetto è ancora tutto sulla carta, ci vorrà del tempo per vedere il villaggio sorgere, ma intanto la terra c’è e Shick si augura che entro due anni “i trattori inizino a solcarla”.
Stando al progetto approvato, in una prima fase ci saranno 50 appartamenti per le famiglie e uno o due per “inquilini speciali”, ma dopo il “rodaggio” si arriverà 270 famiglie e circa 120 adulti ad alto funzionamento, ciascuno dei quali sarà assegnato a due o tre famiglie adottive, che provvederanno alle loro esigenze quotidiane, dai pasti alle terapie, e terranno anche i contatti con le famiglie biologiche. All’interno della comunità, tutti saranno impiegati, compatibilmente con le esigenze e le capacità di ciascuno, in attività amministrative, agricole e turistiche. L’idea, a quanto pare, riscuote già un discreto consenso: Shick parla di una “incredibile domanda” da parte delle famiglie che vorrebbero unirsi alla comunità: tutte dovranno passare una sorta di “selezione”. Una volta che questo villaggio sorgerà e si popolerà, staremo se questa doppia scommessa su convivenza e integrazione è utopia o possibilità… E poi provare a cercare chi, questa stessa scommessa, è disposto a ripeterla anche quando il “funzionamento” non è tanto alto, l’autismo è più rognoso e la convivenza e l’integrazione francamente più complicate…