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Terapie per l'autismo, la mediocrità è gratis, la qualità costa cara. Servono donatori

Un papà e una mamma scoprono che il loro bambino è autistico: passato il primo momento di sconforto, prendono a smanettare sul web, sperando di pescare nella rete qualcosa che somigli a una cura. L’autismo non si cura, lo sanno: ma sanno anche, entrambi operatori socio-sanitari, che il mondo dell’assistenza è sconfinato e che esistono terapie decisamente più efficaci di altre. E glielo ha confermato anche la neuropsichiatra infantile, che “ci ha elencato le strade possibili – raccontano sul loro blog – di cui una era l’accontentarsi del convenzionato e l’altra il top, ma totalmente a pagamento”.

Ecco il bivio: la mediocrità gratis o l’eccellenza a caro prezzo?

“Sul web si parlava del Metodo Aba come metodo che cambiava radicalmente i comportamenti e reindirizzava i bambini ad interagire con il mondo – raccontano – ma come tutte le cose belle e utili, questo metodo è totalmente a pagamento e le cifre sul web erano da panico”. Cifre addirittura impensabili per Elena e Francesco, entrambi precari. Peccato, perché nella loro città, Vicenza, avevano già rintracciato un’equipe Aba.

Che fare? Rinunciare no, non se ne parla: due genitori in cerca di aiuto per un figlio complicato non si arrendono così facilmente. Allora pensano di inventarsi un progetto, lo chiamano come il loro bambino: e nasce Progetto Giulio, con il suo blog e una pagina Facebook dedicata. E inizia la raccolta fondi, con l’aiuto anche di un’associazione che, curiosamente, si chiama Aabb,ma che con Aba non ha nulla a che fare, visto che si occupa dell’accoglienza di bambini bielorussi. E’ tramite quest’associazione che viene divulgato il progetto e sono raccolte le donazioni.

progetto giulio

Oggi, a distanza di cinque mesi dall’avvio del progetto, papà Francesco ci fa sapere: “Giulio sta ottenendo meravigliosi risultati con il metodo Aba: ora ha un buon contatto visivo, interagisce con gli altri bambini e non si isola più. Ascolta i comandi che gli vengono dati, sta seduto fin che svolge le attività, indica con il dito le cose che gli interessano, gira la manina per farsele poi dare e imita tutto ciò che gli si chiede. Giulio è ancora non verbale per cui è stata optata la comunicazione alternativa aumentativa del linguaggio dei segni, che da lunedì 5 ottobre ha iniziato ad imparare. Questo tipo di comunicazione va ad aumentare le probabilità che inizi a dire qualche parola anche se non ci garantiscono se parlerà e se parlerà come parlerà ma almeno riuscirà a spiegarsi”.

giulioAl suo fianco c’è un’equipe di professionisti, composta da neuropsichiatra infantile, cinque terapisti Aba e logopedista. Ma parte integrante del progetto sono le maestre delle scuola materna di Giulio e la sua insegnante di sostegno, “tutte formate a carico nostro”, precisa Francesco. “Persone magnifiche, che ci stanno ridando nostro figlio”, racconta ancora Francesco. Le donazioni, intanto, continuano ad arrivare: “i benefattori sono persone che hanno visto gli articoli, conoscenti, il Gruppo alpini di Noventa vicentina, imprenditori e gruppi di persone che organizzano eventi per raccogliere fondi per mio figlio. C’è perfino la parrucchiera di Noventa, che ha ideato una lozione il cui ricavato viene destinato al progetto”.

Insomma, oltre all’inclusione scolastica,
ora anche le terapie bisogna procurarsele con il “fai da te”?
E’ necessario e giusto che sia così?

I semi del dibattito qualcuno li sta già lanciando: “A questo devono ridursi queste famiglie, per avere ciò che spetterebbe loro di diritto!”, commenta qualcuno su Facebook. Mentre qualcun altro avanza qualche perplessità: “Con tutto il rispetto per questa famiglia, mi domando quanto sia giusta la mobilitazione per un singolo caso, quando ce ne sono a migliaia che non hanno accesso ai servizi o non possono pagarsi le cure – commenta la mamma di un ragazzo autistico – Ciò che dovrebbe essere un diritto garantito dalle istituzioni a tutti, nessuno escluso, di fatto è una pura variabile, dovuta al caso”.

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