Quando la mamma diventa un orco: avvocati e giornalisti a confronto
“Di mamma si può anche morire”
Lo afferma con sicurezza Gian Ettore Gassani, presidente nazionale dell’Ami, l’associazione degli avvocati matrimonialisti italiani, anticipandoci i temi del VII Congresso nazionale che si svolgerà venerdì 9 e sabato 10 ottobre a Roma (Residenza di Ripetta – via di Ripetta 231). Un appuntamento che guardiamo con interesse ma anche con amicizia e stima, visto che l’Ami ha da poco accettato di unirsi all’impresa di “Pernoiautistici”, mettendo le proprie competenze e professionalità a disposizione delle nostre famiglie.
E ci incuriosisce molto questo tema: coraggioso, visto che per tutti “la mamma è sempre la mamma” e le famiglie autistiche sanno forse meglio delle altre di quanta dedizione e abnegazione siano capaci coloro che danno alla luce questi complicati figli. Eppure, le mamme possono diventare orchi e perfino assassine, scagliandosi con violenza proprio contro le proprie creature. E i numeri sono tutt’altro che bassi: “dal 1970 ad oggi, circa 500 bambini sono stati uccisi tra le mura domestiche dai genitori e soprattutto dalle madri”, ci spiega Gassani. E di loro, dei “Figli di Medea – Dalla filiazione al figlicidio” si parlerà nella due giorni che si aprirà domani. Un evento della massima importanza, perché per la prima volta riunirà giuristi, psicologi e giornalisti. “Ciascuno si interrogherà su come la propria deonotologia professionale imporrebbe di affrontare questo tema e come, di fatto, la propria categoria professionale lo affronta ogni giorno”.
Ma perché una madre può arrivare a uccidere il figlio?
Dietro ogni figlio ucciso da una mamma c’è una mamma con una grave malattia psichiatrica. E’ sempre un problema psichiatrico a condurre alla violenza verso il figlio: e a questo si accompagna, nei casi più drammatici, la solitudine e l’incapacità del sistema socio-sanitario di comprendere il bisogno e fargli fronte. Ma c’è anche un problema culturale, in Italia: ci fidiamo delle mamme anche quando danno chiari segni di squilibrio, perché pensiamo che una mamma non possa far del male a suo figlio. Ma se c’è un disturbo psichiatrico, questo può accadere, in mancanza di un sostegno adeguato.
La soluzione, in molti casi è la sottrazione del figlio alla madre
Sì, è quella che si rende necessaria quando il problema è grave. Se la separazione non avviene, o perché la famiglia è particolarmente isolata, o perché gli addetti ai lavori sono impreparati, può verificarsi la tragedia. E’ vero però che non sempre il problema è evidente, esistono gesti improvvisi, in presenza di una malattia mentale non visibile come le altre.
E quando è il figlio ad essere problematico, magari perché è autistico, disabile, o malato?
Questa è una storia antica: i romani avevano la rupe Tarpea, da cui buttavano i figli con problemi fisici o psichici. Oggi per fortuna il mondo è cambiato, ma può capitare che una mamma o un papà non accettino o non riescano a gestire la realtà di un figlio con problemi: e possano arrivare perfino ad ucciderlo. Parliamo di casi limite, piuttosto rari, ma è opportuno valutarli. Credo anzi che, in presenza di famiglie con ragazzi problematici, sia sempre opportuno monitorare, senza creare allarmismi né psicosi.
Il fenomeno del “figlicidio” è più diffuso in alcune regioni piuttosto che in altre?
No, la violenza in famiglia è trasversale. Anzi, contrariamente a quanto si potrebbe credere, per anni è stato il nord a detenerne il primato. Possiamo dire che ciò che accade tra le mura domestiche risenta poco o niente delle condizioni socio-economiche del contesto. Anzi, spesso le regioni e i quartieri più poveri hanno una maggiore tenuta psicologica.
L’Ami è partner del nuovo portale di Gianluca Nicoletti, “Pernoiautistici”: cosa vi aspettate?
Apprezziamo molto la battaglia del Nicoletti giornalista e padre, perché ha saputo porre in termini corretti la solitudine delle famiglie di queste famiglie, che non hanno la certezza del diritto per il presente e per il futuro. Ha dato voce a queste famiglie e noi, come Ami, abbiamo deciso di unire le forze, nella speranza di riuscire a costruire un sistema di tutela dei minori che, una volta diventati adulti e organi, continuino ad avere dignità. Cercheremo di far comprendere all’opinione pubblica che spesso non si muore di malattia, ma di indifferenza.