Gli autistici ai soggiorni estivi sono disabili di serie B?
Questa è la lettera che abbiamo ricevuto della nostra amica Graziella sempre in prima linea nella difesa dei diritti dei più deboli quando questi vengono trascurati. L’argomento del giorno è il soggiorno estivo che a Roma le Asl organizzano per i ragazzi diversamente abili e che i Municipi danno in gestione a cooperative spesso impreparate per poter accudire e seguire dignitosamente i ragazzi con problemi di autismo. Più di una volta si sono verificati casi della serie “L’Autismo questo sconosciuto” con situazioni esasperanti per il povero autistico non capito che alla fine come suol dirsi “sbrocca” e per questo viene additato come violento e pericoloso. Con la conseguenza che l’operatore che lo segue si trasforma in una sorta di “carceriere” addestrato a tenere lontano dagli altri l’autistico potenzialmente violento per tutto il resto del soggiorno. Purtroppo succede spesso, per questo è necessario che il ragazzo autistico debba essere seguito da una persona che sa come trattarlo e se la cooperativa non è in grado è meglio che lo faccia presente prima.
Vorrei far conoscere solo l’ultimo dei miei disagi, dico “disagi” per non usare un termine più forte che potrebbe risultare offensivo e causarmi altre grane in più di quello che già ho. Sono la mamma di Simone che da 19 anni convive con l’autismo. Io e mio marito nuotiamo nella melma, nonostante ciò continuiamo a sperare di poter trovare risposte convincenti e nutrire “ancora” fiducia nella società in cui viviamo.
Il coinvolgimento emotivo che scaturisce dall’assistenza di un figlio disabile genera uno stato di malessere quotidiano che ci fa percepire la vita sociale come qualcosa di stressante e che quindi ci spinge ad una condizione di apatia e nello stesso tempo di odio nei confronti di coloro che ci fanno perdere del tempo prezioso. Inoltre le “scocciature” le avvertiamo come soprusi quando si ha la consapevolezza che un diritto, un beneficio concesso dalla legge (apparentemente vicina ai problemi dei più bisognosi) viene quasi dimenticato.
Simone non parla, non sa giocare, non ha un amico, non è capace di comunicare un malessere, Simone è un autistico h24 nel senso che ha disturbi del sonno, crisi comportamentali autolesionistiche e a volte anche molto violente, per non parlare dei numerosi tic e stereotipie. Non è questo, comunque, che mi fa perdere il sonno perché una mamma accetta il proprio figlio così com’è, piuttosto i problemi che nascono dalla insoddisfazione per un comportamento inaccettabile di quello che noi possiamo definire il sistema.
ECCO I FATTI
Nella primavera 2015 vengo contattata dalla Asl Roma B IV Municipio per fare richiesta del soggiorno estivo per Simone, una delle poche “agevolazioni” di cui possiamo godere. Per inciso “il protocollo d’intesa tra ASL e enti locali” sottolinea l’importanza della partecipazione di un ragazzo disabile a questo tipo di esperienza in quanto “mette in risalto vari aspetti che vanno da quello su un lavoro di autonomia, ad un discorso di inclusione sociale ecc. ecc.” ed evidenzia l’occasione “di alleggerire la famiglia che vive quel malessere quotidiano”.
Dopo un mese circa ricevo una telefonata da parte della responsabile della cooperativa sociale a cui la Asl aveva dato il compito di organizzare il soggiorno. La signora mi comunica che quest’anno Simone sarebbe stato accompagnato da un operatore della loro cooperativa. Questo, dunque, escludeva a priori la possibilità di poter invece mandare Simone con il suo operatore che lo conosce bene e sa come trattarlo.
Cosa, si badi bene, già successa negli anni precedenti. La notizia mi ha fatto infuriare. Mi sono chiesta: ma il soggiorno è nato per far lavorare le cooperative e i suoi operatori oppure per chi vive nel disagio? Di tutto questo ne ho parlato alla Consulta dell’handicap del municipio di cui faccio parte. Così sono venuta a conoscenza del fatto che la ASL organizza i soggiorni estivi (e anche in altre stagioni) ma che la famiglia del disabile ha la possibilità di scegliere tra un soggiorno collettivo o uno individuale e che quest’ultimo pare sia concesso solo a chi ha una disabilità fisica e non intellettiva.
Purtroppo nel mondo dei diversamente abili sembra ci siano quelli che giocano in serie A e quelli che gareggiano in serie B. Mi chiedo a questo punto se i nostri figli chiamati autistici fino a 18 anni e poi pazienti psichiatrici possano giocare solo in settori amatoriali.
Graziella Lanzetta Mamma di Simone