Autismo, intervento precoce = intervento efficace. E la diagnosi?
Un bambino su 10 deve fare i conti con una delle cosiddette “disabilità dello sviluppo”: un ombrello molto ampio, sotto il quale sono comprese le varie forme di autismo, il ritardo mentale, i disturbi lievi o gravi nel parlare, nel vedere, nel sentire, nel ragionare e anche ne muoversi. Un bambino su 10, in altre parole, ha una disabilità: motoria, cognitiva, relazionale o sensoriale che sia. Una stima certamente approssimativa, ma abbastanza verosimile, quella che è stata riferita in questi giorni a Pisa, in occasione del convegno, promosso dalla fondazione Stella Maris insieme all’Università pisana. Tema: la riabilitazione precoce. Tema e scopo, si potrebbe dire, perché proprio questo è ciò che emerge con massima chiarezza dai vari esperti che stanno intervenendo all’incontro: la terapia deve iniziare prima possibile, quando l’età del bambino assicura una maggiore plasticità cerebrale e la massima sensibilità e reattività all’intervento. Quanto più questo ritarderà, tanto più rischierà di essere poco efficace, se non completamente inutile.
“Intervenire al momento giusto e nel modo giusto”
è quindi la parola d’ordine che stanno condividendo in queste ore gli esperiti di riabilitazione. Curare presto e bene, affinché piccoli problemi non si trasformino in gravi disabilità. E non si tratta di un dictat di carattere per così dire “morale”, ma di un’0indicazione fondata scientificamente, visto che “la ricerca di base – spiega una nota degli organizzatori – ci dice che la plasticità del sistema nervoso, e cioè la sua capacità di riorganizzarsi, rimodellarsi per compensare un lesione cerebrale o un difetto genetico, e’ massima in alcuni periodi della crescita del bambino. E’ in questi momenti che le cure possono dare il massimo vantaggio”.
E la diagnosi?
Niente di nuovo, a dire il vero, per chi a vario titolo ha a che fare con l’autismo. Piuttosto, l’ennesima conferma che la precocità dell’intervento è direttamente proporzionale all’efficacia di questo. Ma, viene da chiedersi, come è possibile intervenire precocemente, quando l’autismo, in particolare, viene difficilmente diagnosticato prima dei due anni di vita? Proviamo allora a “dilatare” la questione: perché un intervento sia precoce, occorre che altrettanto precoce sia la diagnosi. Allora ben vengano iniziative come i corsi di formazione per gli educatori di nido, o i test diagnostici da sottoporre alle famiglie dai pediatri, fin dai primi mesi di vita dei bambini. Peccato che su questo, in Italia, siano stati fatti ancora pochi di quei “passi avanti” auspicati dalle sorelle Colombo. C’è poi un’altra questione, accanto a quella della precocità diagnostica: l’appropriatezza terapeutica. Occorre intervenire presto, sì, ma anche intervenire “bene”: e anche su questo punto, in Italia, non possiamo certo vantare di avere un buon curriculum, visto che tante fantasiose pseudo-terapie sull’autismo continuano a proporsi alle famiglie, mentre percorsi di formazione seri per i professionisti del settore, fondati su evidenze scientifiche, continuano a essere poco diffusi e ancor meno accessibili. Diagnosticare presto e bene, quindi, per curare presto e bene. Come vorrebbe, adesso, perfino una legge nuova di zecca…