In mancanza di meglio…I nostri autistici buttati dove capita per non affogare
Una riflessione cruda e crudelissima di Gabriella La Rovere, mamma di Benedetta e nostro medico #scacciacazzate. Questa volta rischia di far sollevare l’ esercito delle vestali del tanto amore e tanta rassegnazione. Ma stiamo scherzando? Ci stiamo accontentando di un futuro già scritto per i nostri figli, fatto di strutture strapagate con soldi pubblici, pensate appositamente per creare profitto a chi le amministra. Anche noi alla fine ci rassegneremo al fatale “in mancanza di meglio…” ?
In mancanza di meglio è una frase che ognuno di noi ha detto, anche molto spesso.
Ammetto pubblicamente la mia colpa: non solo l’ho affermata ma lo ho anche ripetuta cercando di convincermi. Invece non è più ammissibile, né scusabile pronunciarla quando si tratta dei nostri figli.
Siamo tutti, inconsapevolmente o meno, rivolti alla parte malata, a quello che manca o che funziona peggio, scordandoci della parte sana che invece merita tutti gli sforzi possibili affinché lavori al meglio.
Un principio che ho personalmente applicato da subito, appena fatta diagnosi di malattia rara e di grave compromissione cerebrale di mia figlia. “Bella scoperta, sei un medico!” è un’affermazione che ho sentito più volte ma che non mi ha descritto completamente perché anche io sono una persona, una donna, una madre.
Quando oltrepassi la boa dei 50 anni, i momenti di stanchezza fisica e mentale sono più difficili da superare rispetto al passato. Guardi i tuoi amici, che hanno figli laureati o in procinto di farlo, e invidi quel loro nuovo stato di tranquillità, quell’idea di pensione legata a viaggi, passeggiate, cene, cinema, teatro, dolce far niente. In questa situazione di grande fragilità, in mancanza di meglio è la boa alla quale ti aggrappi per non affogare, è la chimera che insegui non pensando a dove ti sta conducendo.
Nella nostra società non solo non funziona la scuola, ma i principi che sottendono i centri di riabilitazione socio-sanitaria sono totalmente da rivedere perché stantii, obsoleti, pietosi ( e in medicina sappiamo bene le nefande conseguenze del medico pietoso!). Mentre ad alcuni mancano i fondamentali per essere considerati dei luoghi accoglienti, altri risplendono di sorrisi che riempiono la giornata colmando ore che potrebbero essere meglio impiegate.
Tenere insieme persone con diversi bisogni e competenze è un’impresa titanica che può essere facilmente gestita con l’omologazione. Tutti sono destinati a ridursi a un unico standard. Questo non è più accettabile. Bisogna avere il coraggio di riformare questa istituzione, perché è di questo che si parla, di un carrozzone che ormai si muove per inerzia e che viene incontro alle esigenze di genitori stanchi, esasperati e disillusi.
È qui il punto debole, il baco che rende marcio tutto. Questi luoghi sono stati creati per il sollievo dei genitori. Quello che vogliono fare i nostri figli non viene minimamente contemplato nell’idea generale – più o meno abusata – della socializzazione. La loro giornata viene spesa in cibo, merenda, pranzo, riposo e qualche laboratorio che non sempre soddisfa le inclinazioni del singolo e che si è costretti a fare perché in mancanza di meglio.
Basta con tutto questo! Bisogna destrutturare questo colosso pubblico e privato in laboratori indipendenti che ogni ragazzo/a può scegliere di frequentare, riempiendo così la giornata di senso, e conseguentemente, di soddisfazione e gioia. Un’organizzazione che ricorda i campus universitari e che offre opportunità per sviluppare e potenziare le proprie caratteristiche e inclinazioni. Laboratori e corsi che devono essere condotti da personale esperto nella materia, non da educatori dotati di buona volontà e carità.
Non è ammissibile accettare questo in mancanza di meglio perché si ha a che fare con persone, non con malattie con le gambe e perché abbiamo il dovere di non sprecare nessuna vita.
Gabriella La Rovere