Ogni battaglia per le patatine fritte con un #teppautistico è sempre persa
Chi mai non ha dovuto incrociare le lame con il proprio #teppautistico in dotazione in un locale pieno di gente? se a qualcuno è capitato saprà bene che ogni resistenza è vana, tra la folla che mangia, beve, acquista, si sollazza, prega, chiacchiera, ascolta musica, vede film ecc. Lui sa bene che per noi spiegare agli altri è ben più difficile che ripiegare e accontentarlo…
Sono fortunata: Luca avrebbe potuto essere aggressivo o addirittura violento. Molte persone affette da autismo, infatti, sono estremamente frustrate dalla loro incapacità di esprimere quello che vogliono, o da situazioni per loro difficili da gestire. Ogni tanto cerco di immedesimarmi in loro, e penso che se non avessi gli strumenti per spiegare agli altri quello che voglio, anche io ogni tanto perderei il controllo.
Luca invece deve aver preso da Dan, che raramente si arrabbia e ha una pazienza che neanche Giobbe. Ci sono state però delle situazioni in cui anche lui non è riuscito a trattenere il suo desiderio di volere qualcosa, e si è lasciato andare, cosa che accade di solito per due motivi: la voglia di comprarsi l’ennesima copia dei cd di James Taylor, o per le patatine di Mac Donalds, a cui non riesce a rinunciare. Questo è successo qualche anno fa.
Eravamo in autostrada, io, Dan i tre ragazzi che litigavano sul sedile di dietro, e i cani (due) ancora dietro. Io e Dan non parlavamo per via che la tensione la si sentiva nell’aria come la puzza delle scorregge di Lola, il boxer che ruba il mangiare nella pattumiera e poi non perdona. Decidiamo che invece di sperare di essere tutti investiti, ridendo, da uno di quei tir con quaranta ruote, di evitare la strage per oggi e fermarsi alla prima area di servizio, sfamare i figli e poi chissà, lasciarne qualcuno lì ‘per sbaglio’.
Da lontano, come una visione, vediamo la M gialla di Mac Donald’s. ‘French fries!’, esclama Luca. Freccia, corsia di destra, imbocco dell’area di servizio. Scendiamo finalmente dalla macchina, lasciando i finestrini un po’ giù. Dan prende la mano di Luca, che cerca sempre di scappare e gli canta la solita canzoncina; io, sfinita, sono con Sofia e Emma, e lentamente, con la giacca slacciata e tutte spettinate ci avviamo verso l’entrata.
L’organizzazione è sempre la stessa: io sto con Luca e Emma, Dan va da Mac Donald’s a prendere patatine, latte al cioccolato e panino di pesce per Luca, Sofia va dove vendono il pollo allo spiedo e ne ordina abbastanza per lei, sua sorella e suo papà. Io non mangio, che sono snob e se non è biologico il pollo non mi piace neanche guardarlo da lontano. Arrivano, tutti e due con il bottino. Finalmente mangiano e stanno tutti zitti un attimo. Luca finisce in un soffio le patatine e comincia a dire: ‘French fries! French fries!’. Gli diciamo di no, che ne ha già mangiato mezzo chilo. Lui non si dà per vinto. Poi gli passa, pensiamo sia io che Dan, anche se non ci crediamo. Poi chiedo a Dan il portafoglio per andare allo spaccio con Sofia e Emma e prendere una bottiglia d’acqua. Andiamo, lasciando i maschi, che si avviano verso la macchina. O così pensiamo.
Torniamo dopo una decina di minuti e la scena è tristemente famigliare: Luca coricato sul pavimento di Mac Donald’s, che urla ‘French fries! French fries!’, Dan che cerca di tirarlo su, ma non ce la fa. ‘Gliele avrei comprate’, mi dice, ‘ma avevi tu il portafoglio!’. Adesso non se le merita, gli dico stoica. Ci penso io. Arriva la manager e chiede ‘qual è il problema?’, come se non fosse chiaro abbastanza. Le dico: ‘Niente, perché? C’è qualcosa che non va?’. Sono furente. Lei mi guarda coi nervi, io la odio. Le ragazze sono imbarazzate. Dan stravolto. La manager se ne va e torna con delle patatine:’ Non ve le faccio pagare, ma andatevene’. Le dico ci mancherebbe altro, le dò i soldi ma lei se ne va senza prenderli.
Luca ha vinto, o almeno crede. E invece no: le patatine le prendo io e gli dico senza alzare voce ma inquivocabilmente incazzata nera che se non si alza immediatamente e va in macchina le patatine le butto nella pattumiera. Lui mi guarda e ride. Certo che ha vinto lui. Si tira su, con la velocità di un bradipo. Tutti ci guardano, qualcuno spaventato, qualcuno sopreso, qualcuno curioso. Vorrei fare un inchino e aspettarmi l’applauso, ma invece niente: tutti ritornano ad aspettare il loro turno per mangiare le loro fench fries schifose. Li odio tutti loro, gente normale che non ha mai avuto a che fare con l’autismo e la sua testardaggine malata. Invece dico solo, ‘Let’s go. Now.’ ‘French fries! French fries!’ ripete Luca come un mantra, saltellando verso la macchina.
Dan cammina davanti a me lento, sconfitto. Triste. Io invece ho le palle che mi girano a duemila. Le ragazze sono già in macchina, in silenzio. Luca, felice come una pasqua si siede al suo posto sul sedile posteriore di fianco a Emma. Le papatine le ho io. ‘Non si fa così, capito? Chiedi scusa a papà e alle tue sorelle!’ Lui, sempre ridacchiando, dice ‘Sorry, French fries, french fries!’. So che non capisce perché mai dovrebbe chiedere scusa: per lui non c’è niente di strano che grande e grosso e diciassettenne, si deve coricare sulle piastrelle sporche di un Mac Donald’s di un’area di servizio in autostrada: lui voleva le patatine e adesso ci sono le patatine. Mission accomplished.
Aspetto una mezz’oretta prima di passargliele, una alla volta. So che è assolutamente inutile punirlo, ma lo faccio per me, per Sofia e per Emma. Per Dan, che guida in silenzio. Gli prendo la mano e gliela stringo.
‘I love you’, gli dico mandando giù quel magone ormai lì da tutti questi anni.
MARINA VIOLA
http://pensierieparola.blogspo
Le precedenti corrispondenze di Marina Viola da Boston
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- La vera cura per l’autismo
- Marina Viola da Boston ci racconta Luca
- Questa è la sua storia: dal 1991, da quando cioé ha deciso di vivere con il suo fidanzato Dan. La loro prima casa era nel New Jersey, dove ha preso una minilaurea in grafica pubblicitaria. Ha tre figli: Luca, che ha quasi diciannove anni, ha una forma abbastanza drammatica di autismo e una forma strana di sindrome di Down; Sofia, che ha sedici anni ed è più bella di Liz Taylor, è un genio del computer e prende sempre cinque meno meno in matematica; Emma, che di anni ne ha solo otto, ma che riempie un silos con la sua personalità. Marina Viola odia le uova perché puzzano, ma per un maron glacé venderebbe senza alcun senso di colpa tutti e tre i figli. Ha una laurea in Sociologia presso Brooklyn College, l’università statale della città di New York. Da qualche anno tiene unblog in cui le piace raccontare alcuni momenti della sua vita. Ha scritto settimanalmente sul sito della Smemoranda (smemoranda.it) dell’America vista però in modo sarcastico e ironico.
A giugno del 2013 è uscito il suo primo libro, “Mio Padre è stato anche Beppe Viola”, edito da Feltrinelli. Nel suo secondo, “Storia del Mio Bambino Perfetto” (Rizzoli, 2014) racconta di Luca e dell’autismo.