La domenica allo Smaland e per un'ora e mezza l'autistico si confonde tra le palline
Matilde e Roberto sono due architetti, vivono a Trastevere, hanno due figli. Federico, 7 anni, è un bambino molto intelligente e vivace, spesso sembra più maturo della sua età, dopo tre anni hanno deciso di affiancargli Edoardo, grandissimi occhi neri e un’irrefrenabile voglia di correre. La loro storia è quella di una famiglia che al lavoro, la scuola, le vacanze ha dovuto aggiungere la voce terapie. Quelle che dall’estate del 2014 hanno iniziato a far seguire ad Edoardo per capire cosa si celasse dietro quello sguardo profondo, sempre un po’ distratto e quelle parole che uscivano lente rispetto alla parlantina del fratello. Matilde e Roberto sono i genitori di un bambino autistico e non la considerano una benedizione per espiare, ma una bella tegola con cui cercare di convivere. Il loro sogno: spazi giochi allegri e sicuri, alleati affidabili e un orto tutto per loro.
“Il sabato e la domenica ci svegliamo prima degli altri giorni, prendiamo la macchina e andiamo all’Ikea per regalare ad Edoardo e anche a noi un’ora e mezzo di normalità grazie allo Smaland. Solo qui lui pare felice e noi lo sappiamo al sicuro, ma non abbiamo detto all’ingresso che è autistico, altrimenti non lo farebbero stare. In mezzo alle palline poi i bambini sembrano scatenarsi nello stesso modo.”Solo con gli svedesi Matilde ha scelto di nascondere i problemi di suo figlio, con tutti gli altri, parenti e amici, ha deciso di rivelare, subito dopo la diagnosi, che Edoardo, 4 anni, il piccolo di casa, è affetto da un disturbo dello spettro autistico.
“L’ostacolo difficile da superare spesso è lo sguardo degli altri, non su di me, ma sul mio bambino: quando urla, corre come un inarrestabile Forrest Gump, non vuole scendere dall’altalena per ore. Non provo vergogna, ma vorrei che gli altri si sforzassero di capire che non è un bimbo viziato ed io una madre debosciata, ma nemmeno un rischio da cui far allontanare i propri figli. Per questo ho avvertito subito la famiglia, i miei amici, e le maestre per provare a convivere con questa tegola senza dover pure sopportare la compassione o peggio l’ostilità di chi ci circonda.”
Edoardo frequenta la scuola materna ed ha avuto la fortuna di trovare maestre attente che cercano di coinvolgerlo in maniera consapevole. “ Erano preoccupate per il lavoretto di Natale da fargli realizzare quest’anno visto che hanno deciso di utilizzare il punteruolo. Temevano per l’incolumità sua e forse anche per la loro e quella dei compagni. Mi hanno raccontato poi che Edoardo ha preso il punteruolo e senza fatica ha già fatto il suo lavoro. Lo hanno saputo gestire senza panico, come quando lo portano in gita, e invece che farlo stare per mano con un amico lo tengono stretto tra loro due.” Risultato: Edoardo a scuola ha imparato a seguire alcune regole.
Sta seduto a tavola a mensa e mangia molto di più che a casa, dove, quando decide che un cibo non gli va, non molla e va a letto senza cena. Ha un’insegnante di sostegno per alcune ore, non gli è stata ancora riconosciuta la legge 104, quindi si divide l’assistenza di una ragazza, non formata sull’autismo ma di buona volontà, con un compagno dell’aula accanto. “Non importa, stiamo facendo tutto il percorso burocratico perché abbia ciò che gli spetta di diritto, ma al momento ci basta sapere che a scuola lui sta bene e riesce a condividere del tempo con gli altri.”
Perché per Matilde e Roberto la sfida ora è trovare il modo di affrontare la diversità del proprio bambino senza escluderlo dal mondo e cercando di includere in questo difficile percorso anche Federico. Il fratello maggiore negli ultimi mesi ha iniziato a soffrire per le attenzioni che sembrano mancargli e per quel piccolo rompiscatole che distrugge i suoi giochi e lo insegue ovunque, con la velocità, legata alla diagnosi di iperattività, che lo farebbe correre instancabilmente per ore se solo ci fossero gli spazi sicuri dove farlo. “Questa estate mia suocera ci ha fatto un grande regalo: due ragazze che la mattina e il pomeriggio ci aiutavano con Edoardo. Sono rimasta colpita soprattutto dalla studentessa della mattina che aveva una preparazione atletica tale da permettere al nostro velocista di fare avanti indietro infinite volte su tutta la spiaggia di Senigallia.”
Proprio dalla cittadina marchigiana, dove Matilde è nata e Roberto va in vacanza da sempre, è partito il viaggio verso la consapevolezza. “Festeggiavamo il terzo compleanno di Edo e mio zio, medico americano trapiantato sulla costa marchigiana, che è da sempre, molto informato e avanti nelle sue osservazioni mediche, ci dice di tenere gli occhi aperti, che “Edo non c’è”, dice proprio così, alla maniera un po’ brutale tipica del mondo anglosassone, che io conosco da sempre, e che, in quella occasione, invece infastidisce un po’ Roberto.”
Dalla schiettezza dello zio medico all’empirismo di un amico caro che, sempre a Senigallia, in buona fede, prova a suggerire una terapia speciale, letta in un libro: “Condite i cibi di Edo con olio di canapa e fategliene prendere un cucchiaio al giorno.” Matilde ci prova più per affetto che per convinzione, “l’ho messo sui pomodorini di pachino che lui adora, mi ha sputato tutto e non ho più tentato”.
Pare difficile trovare anche il modo per stare vicino a chi ha un autistico in casa; c’è chi vuole dare consigli anche assurdi con affetto sincero; chi mostra il volto odioso della compassione che nasconde anche il sollievo di non vivere analoghe condizioni e la reale partecipazione che spesso avviene in silenzio. “Le nonne hanno capito subito, sono incazzate, ma cercano di starci vicino come possono. Sanno che Edo ha bisogno di un occhio di riguardo, bisogna essere meno dure con lui. Ma c’è sempre anche la cara zia che ci dà pacche sulle spalle e ci dice che migliorerà e da grande sarà meglio di noi.”
Non manca però chi proprio non vuole capire e contro cui lo scontro quotidiano sembra la prova più usurante. “Un pomeriggio nello spazio giochi sotto casa, una triste gabbia che però nel suo essere circoscritta mi permette di controllarlo meglio, Edo ha dato una spinta ad un bimbo piccolo che gli stava dietro da un’ora. La madre seduta fuori su di una panchina è scattata come una furia. Di fronte al mio tentativo civile di farle capire che la sua creatura era integra e si poteva considerare normale uno scontro tra bambini, ha rincarato la dose di insulti.
Allora le ho detto la verità che Edoardo ha dei problemi. Si è fermata solo per un momento e poi ha continuato ad attaccarmi come madre poco attenta”. Già, perché, intorno alle famiglie di ragazzi autistici ci sono pure i maestri, spesso giudici, quelli che hanno la risposta pronta, giunta direttamente da un Dio infuso della neuropsichiatria, pur senza aver nemmeno mai varcato le porte di una facoltà di psicologia. “ Mi hanno detto di tutto, come che sbagliavo la dieta di Edoardo, dovevo aggiungere carboidrati. Come far capire loro che già mangia poco e solo certi cibi, perché devo togliergli anche quel piacere. Ma ciò che mi infastidisce di più è la semplificazione con cui alcuni analizzano le mie difficoltà di madre nei confronti di Federico.
Un giorno una persona mi ha detto: “Federico non deve risentire della situazione di suo fratello”, come se a me queste dinamiche facessero fare i salti di gioia. Ma come si fa? Siamo una famiglia di quattro persone, abbastanza isolate dai nostri parenti, con pochi aiuti dall’esterno. Facciamo salti mortali tutti i giorni tra scuola, terapia di Edo, sport di Fede, lavoro (mio poco e mi tocca dire per fortuna) e di mio marito (architetto come me ma con ruoli un po’ più importanti che spesso va a lavorare la mattina dopo nottate drammaticamente insonni).
Vorremmo vedere Fede più felice, orgoglioso e protettivo con suo fratello. Non facciamo altro che incoraggiarci con mio marito: “appena Edo riuscirà a migliorare, il rapporto con Fede migliorerà”. Per il momento lui si confida, non comprende (come potrebbe alla sua età) e ci dice frasi come: “ma Edo è malato?”, “ma Edo è pazzo?”. Ci sono poi le persone anche vicine che non capiscono, o preferiscono non capire, che difficoltà comporta un problema del genere in una famiglia.”
Allora? Allora si va all’Ikea dove Federico ed Edoardo, immersi nelle palline, riescono a trovare un loro modo di giocare. “Mi dispiace sia gratis, mi sento quasi in colpa, pagherei per farli stare lì insieme.”
Uno spazio grande con giochi a norma in un perimetro sicuro, questo un aiuto concreto per un bambino autistico e la sua famiglia. Un sogno per Matilde, che a Roma non trova alternative allo Smaland che garantiscano anche a suo figlio il diritto al divertimento. “Mi dicono di andare nelle ville, ma non sanno quanto debba correre per inseguirlo quando si lancia per i prati; nei parchi ci sono poche altalene adatte e nei luoghi al chiuso dove spesso fanno le feste i compagni di classe, tra musica ad alto volume, rumori e urla rischia crisi di nervi, non solo lui. Basterebbe che nelle città si realizzassero spazi giochi che poi vanno bene anche per gli altri bambini in cui siano garantite allegria e sicurezza.”
Nell’attesa che gli amministratori capiscano le priorità di migliaia di genitori e bambini, Matilde e Roberto stanno decidendo se lasciare la capitale per andare a vivere a Senigallia, dove c’è la spiaggia per correre, la comunità di affetti che può aiutare e magari anche servizi migliori. “Sogno un giardino recintato dove mettermi la giacca e vederli correre insieme pure di inverno, magari anche un orto per alleggerire la mente.”
L’ansia più grande rimane il futuro: cosa sarà di Edoardo quando non ci saranno più i genitori e come evitare che il peso ricada tutto sulle spalle di Federico.
“Ricordo che il pomeriggio della diagnosi mentre scendevamo in motorino da Monteverde, ho pianto tanto, ma non solo perché sapevo che la nostra vita sarebbe cambiata per sempre, ma anche perché mi sono subito chiesta come sarebbe stato Edoardo tra 20, 30 anni e se noi avremmo avuto la forza di supportarlo. Mi domando ogni giorno: io che ancora oggi per molti dubbi chiamo la mia meravigliosa mamma, saprò stare al suo fianco con la stessa determinazione?
Ho paura per Federico che potrebbe trovarsi a sopportare la responsabilità del fratello, ma mentre per lui mi chiedo che lavoro farà, per Edo mi domando riuscirà mai a lavorare? Anche io mi ritrovo a chiedermi “migliorerà?”. La scorsa settimana siamo stati dalla neuropsichiatra che ha detto che rispetto a luglio è più presente, ed io assorbo ogni parola, ma vorrei avere la palla di cristallo per vedere, per vederlo anche quando noi non ci saremo più.”
Intanto Matilde e Roberto vanno avanti con poche ore di sonno, spesso arrabbiati e con la speranza di non trovare la loro foto fuori dal noto mobilificio svedese con sotto la scritta “loro non possono entrare”.
VALERIA SCAFETTA
Giornalista e saggista. Ha realizzato reportage per le Nouvel Observateur e inchieste per riviste specializzate in psicologia. Ha curato l’ufficio stampa per eventi culturali e politici. E’ madre di due bambini non autistici ma è sinceramente appassionata di #teppautismo.