Cosa fare

Il mordace teppautistico e il suo progetto "Passeggiata"

Abbiamo ricevuto e pubblichiamo con piacere una nuova puntata del “diario” della “mamma-Vittorio”: quella mamma, Anna, che sta provando a indossare gli occhi di suo figlio per raccontare in prima persona ciò che suo figlio non riesce a comunicare: le disavventure scolastiche che hanno portato VIttorio fuori dalla classe prima, fuori dalla scuola poi. Quel morso all’insegnante di sostegno e la “resa” dell’istituzione scuola, che si è detta “impreparata a un caso così grave”. E poi le proteste, il “caso mediatico”, l’intervento sdegnato del sottosegretario Faraone, la difesa altrettanto sdegnata della scuola, che qui ci viene riferita. E, intanto, la vita casalinga e solitaria di Vittorio, accompagnato dalla fedele mamma Anna, che cerca di attutire i colpi, abbassare il rumore e fare in mondo che suo figlio parli senza parlare. E ci scrive così, accompagnando il racconto con una fotografia scattata in una delle sue lunghe giornate domestiche:

vittorio a casa

“Cari teppautistici vi scrivo ancora da casa mia. Sono sempre qui, per i motivi che ben sapete.Intanto lavoro: continuo le mie attività didattiche con l’aiuto della mamma. Ho programmi ben specifici da seguire. Con l’ ABA non si scherza. Imparo a conoscere il mondo con i libri in simboli, a costruire frasi, ad imparare parole nuove, anche se non riesco a dirle. Mi mancano i compagni di scuola con cui ero solito lavorare, perché loro mi aiutavano, a turno si sedevano con me e con la mia maestra. Quando portavo a termine un compito, tutta la classe mi applaudiva ed io ero il più felice del mondo. So che manco anche a loro, in tanti vengono a trovarmi a casa e tanti genitori da tutta Italia scrivono alla mia mamma per incoraggiarla a non mollare. La scuola dice sui giornali di essersi preparata con largo anticipo alla mia accoglienza. Mi chiedo perché il programma di scrittura in simboli che la scuola aveva acquistato da più di due anni non sia mai stato installato su computer, perché un computer portatile non ce l’hanno. Mi chiedo perché nessuno lo sappia usare o sia iscritto a corsi per imparare ad utilizzarlo. Mi chiedo se qualcuno abbia mai guardato i miei quaderni dell’anno scorso per vedere quanto lavoravo in classe e come. Mi chiedo perché le uniche proposte per me siano state ippoterapia, psicomotricità e il progetto ‘passeggiata’ per costruire un rapporto di fiducia con l’insegnante”.

Su questi “progetti passeggiata” – lo diciamo per inciso – stiamo preparando un lavoro che speriamo sia ben fatto, raccogliendo esperienze e testimonianze su quei luoghi di “inclusione separata” che pretendono di essere certe aule di sostegno, ‘laboratori per disabili’ eccetera eccetera. E riecco Vittorio:

“Avere insegnanti che mi accompagnano a nuotare e che poi non sanno cosa fare con me a scuola? O vogliono farmi passeggiare per tutto l’anno scolastico? Non sarei il primo a cui capita. La fiducia deve nascere nel luogo in cui devo stare e con le persone che ho accanto. Le persone devono aver voglia di stare con me, perché essere autistico non vuol dire che non sappia capire il loro animo, i loro atteggiamenti, la loro predisposizione nei miei confronti. Io l’ho capito”. Speriamo che ciascuno, in questa storia, abbia capito qualcosa: perché casi come questo non debbano più sdegnare nessuno: insegnanti, mamme, presidi o politici che siano…

 Anna la mamma di Vittorio

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