Cosa fare

Cohousing per tutti, Asperger compresi. #Teppautistici chissà…

casa comuneVivere insieme per vivere in autonomia, anche quando c’è una disabilità. Per non aspettare quel “dopo di noi” che, inesorabilmente, arriva in ogni famiglia. E’ la scommessa di Casa Comune, il progetto avviato circa un anno fa a Milano dall’associazione “La Comune”. L’idea è semplice e pare funzionare, se tre ragazze disabili, di cui due con sindrome di Asperger, stanno serenamente convivendo con due coetanee “normotipiche”. Sono Alice, Aurora e Olga. Al loro fianco ci sono Gaia e Denise, entrambe iscritte all’università. Sono loro che stanno sperimentato il progetto ideato dall’associazione, condividendo un appartamento di 115 mq., che l’associazione ha avuto in gestione dal comune di Milano e ha ristrutturato, pagando oggi un affitto di 300 euro. “Una casa vera e propria, della quale imparare a prendersi cura, con coinquilini ai quali raccontare la propria giornata al centro diurno e ascoltare la loro, mentre si prepara insieme la cena e si trascorre la serata”, spiega l’associazione, che giovedì 17 racconterà le giornate di queste ragazze, farà un bilancio del progetto e ne illustrerà altri simili, nel corso del convegno “Voglio una casa, la voglio bella!“.

progetto casa comune

Ci spiega meglio l’idea Marco Marzagalli, responsabile del progetto. “Il principio di fondo è che la casa è delle ragazze con disabilità, che insieme alle famiglie scelgono di compiere questo percorso di autonomia ‘a tempo indeterminato’. Questo significa che non è una prova, né un esperimento, né tanto meno un periodo di sollievo: è l’uscita dalla famiglia e l’inizio della vita in autonomia”. La prima ad arrivare è stata Alice, nell’ottobre scorso, poi sono seguite Aurora ad aprile e Olga a luglio. “Inizialmente avevamo pensato a 4 ragazze disabili, ma abbiamo deciso di ridurre per due ragioni in particolare: la prima è che nessuna di queste ragazze si appoggia a una struttura durante il giorno: la casa è quindi vissuta più di quanto ci aspettassimo e questo richiede un impegno maggiore. La seconda ragione è che, inaspettatamente, ci sono tanti beneficiari ‘indiretti’ del progetto: ragazzi e ragazze con disabilità che, pur non vivendo nella casa, la frequentano e ruotano intorno ad essa”. Certo, ragazzi che abbiano comunque una certa capacità di autogestirsi e non abbiano bisogno di assistenza continua. Difficile quindi che un #teppautistico possa diventare inquilino di questa casa. 

Le ragazze universitarie invece sono “a termine” e trascorrono nella casa un periodo di un anno, “perché sia chiaro che la casa è delle ragazze con disabilità. Prestiamo molta attenzione nella scelta delle studentesse – spiega ancora Marzagalli –, preferendo coloro che non abbiano nulla a che fare con scienze dell’educazione o psicologia: non devono esserci implicazioni educative o assistenziali nel rapporto con le coinquiline: devono essere semplicemente ragazze che vivono insieme”.

Il progetto è stato finanziato come start-up dalla fondazione Cariplo, ma dal 31 dicembre si sosterrò da solo. “E crescerà anche il livello di autonomia, visto che gestiranno autonomamente il budget comune: riceveranno 750 euro al mese per le spese e quello che riusciranno a risparmiare potranno metterlo da parte come cassa comune”. Per quanto riguarda il contributo economico chiesto alle ragazze, “le studentesse pagano 150 euro al mese per il vitto, mentre le ragazze disabili versano una quota della loro pensione d’invalidità sul conto della casa. L’unico vincolo per le studentesse è rientrare, a sere alterne, entro le 20. E la domenica alle 18.30. Le ragazza con disabilità invece trascorrono il sabato e la domenica con la loro famiglia e tornano poi nella loro casa”. Il livello d’autonomia crescerà gradualmente: 2”il primo step, che possiamo considerare concluso con successo, consisteva nel rendersi conto che queste ragazze, sebbene disabili, sono grandi e possono cavarsela da sole. E questo ha richiesto un notevole lavoro anche con le famiglie, particolarmente restie a lasciar andare il figlio, sopratutto una volta superata la fase critica dell’infanzia e dell’adolescenza”. Ora, il successivo step “consisterà nell’abituarsi a gestire la casa e tutto ciò che questa comporta, riducendo gradualmente il bisogno di sostegno da parte dell’operatore, che attualmente è presente per 15 ore a settimana. E la sua funzione è proprio quella di insegnare e accrescere l’autonomia”.

Chi volesse “sbirciare” dentro la Casa comune, può vedere il video realizzato dall’associazione, che però risale a qualche mese fa: Olga non era ancora arrivata e le studentesse erano quelle della prima annualità. Il clima della casa però no è cambiato: si vive insieme, si sta bene, a volte si discute, si risolvono i piccoli e grandi problemi. Sopratutto, si prova a “diventare grandi”.

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