Pensare Ribelle

Se a Boston avessero cacciato Luca avrei organizzato un pigiama party nel bar

Cosa sarebbe accaduto se a essere cacciato da un bar invece di Giacomo a Roma fosse stato Luca a Boston? Abbiamo chiesto a Marina Viola cosa avrebbe fatto se fosse successo a lei quello che è accaduto ad Alessandra. Ecco qui la fanta cronaca di quello che avrebbe rischiato la rozza barista autrice di tanta sgradevolezza a uno di noi autistici, se  invece che nel ventre molle di Roma l’ avesse fatto in una birreria del Massachusetts.


11903871_10205837246105054_8715418725209311774_nLeggo con sincera desolazione la notizia di questa mattina, che mi racconta che Giacomo, un bel ventenne romano, viene malamente cacciato da un bar dove era entrato per usare il bagno con il suo terapista, perché autistico.

Essendo anche io madre di Luca, anche lui un bel ragazzo autistico, non posso che empatizzare con Giacomo e con la sua famiglia e pensare a come avrei reagito se fosse stato Luca ad essere cacciato da un locale per il suo essere perfettamente diverso. Avrei sicuramente fatto come la mamma di Giacomo: mi sarei rivolta al Gianluca Nicoletti americano e avrei denunciato il fatto.

Sarei andata a parlare con i proprietari del bar, e poi avrei anche organizzato un enorme pigiama party a sorpresa lì, nel locale, e ci avrei portato la mia lunga schiera di teppautistici. Avremmo portato la carta igienica da casa, visto che non nel bagno del locale non ce n’era, e avremmo ballato James Taylor fino a notte fonda.

Ma forse avrei anche colto l’occasione per una cosa importante: dopo l’incazzatura, avrei voluto invitare la proprietaria del bar a passare una giornata con Luca, per capirlo, per darle l’opportunità di vedere l’enorme lavoro che gli viene importo tutti i giorni per riuscire a conquistarsi una dignità che in realtà gli sarebbe dovuta.

Perché se è vero che regna l’ignoranza, è anche vero che un po’ di responsabilità ce l’abbiamo tutti, compresi noi genitori che siamo talmente presi con le difficoltà quotidiane che i nostri figli ci presentano, che a volte dimentichiamo di raccontare in modo sereno e tranquillo cosa significa essere autistici. A volte, voglio credere, basta davvero poco: un gelato insieme, due chiacchiere, un abbraccio di Luca, o di Giacomo o d Tommy per far sciogliere i nodi dell’indifferenza e dell’ignoranza.

Purtroppo di questi casi di discriminazione ce ne sono tantissimi, e solo una piccola parte viene denunciata. Mi viene in mente il caso eclatante di qualche settimana fa, quello di Paul, un ragazzo autistico californiano accompagnato dal suo terapista in una biblioteca pubblica della California per imparare a stare con gli altri, che in un momento di panico ha spinto una donna ed è stato denunciato per aggressione.

Adesso Paul rischia di essere internato in un istituto o peggio in galera. I genitori chiedono supporto per il loro figlio così: “My son Paul needs continued assistance and help, not criminal charges”. È una storia un po’ diversa, perché a differenza di Giacomo, che non ha fatto male a una mosca, Paul, che ha problemi comportamentali, ha reagito a un momento di panico in modo maldestro.

Ma in fondo è anche la sua, di Paul, una storia di discriminazione, di chiusura mentale di fronte a una disabilità, l’autismo, che deve essere capita e non condannata.

L’autismo non è un crimine, e le persone autistiche non sono pericolose. Noi genitori siamo alla mercé dell’ignoranza di chi circonda il mondo dei nostri figli, che sono le persone più vulnerabili sulla faccia della Terra. Come Giacomo e come Paul, neanche Luca avrebbe capito di essere stato discriminato, e non avrebbe certamente saputo raccontarci il fattaccio.

Come se la difficoltà di crescere nel modo migliore un figlio autistico non sia abbastanza, capisco che il ruolo di noi genitori è anche quello di insegnare agli altri, denunciare atti del genere e portare i nostri figli fuori casa il più possibile, così che la loro presenza diventi normalità.

Colgo l’occasione per abbracciare Giacomo e la sua mamma. Non siete da soli. L’ignoranza è un iceberg che pare indistruttibile, ma poco per volta riusciremo a vincere. Ci vediamo al pigiama party!


MARINA VIOLA


Leggi Pensieri e Parole, il mio blog:
http://pensierieparola.blogspot.com
Marina Viola porta il quaranta di scarpe. Vive a Boston e ci fa il diario di quella che pensiamo essere l’ altra parte della luna. Che significa per noi autistici vivere negli Stati Uniti? Potete farle anche domande….

Le precedenti corrispondenze di Marina Viola da Boston

  • Questa è la sua storia: dal 1991, da quando cioé ha deciso di vivere con il suo fidanzato Dan. La loro prima casa era nel New Jersey, dove ha preso una minilaurea in grafica pubblicitaria. Ha tre figli: Luca, che ha quasi diciannove anni, ha una forma abbastanza drammatica di autismo e una forma strana di sindrome di Down; Sofia, che ha sedici anni ed è più bella di Liz Taylor, è un genio del computer e prende sempre cinque meno meno in matematica; Emma, che di anni ne ha solo otto, ma che riempie un silos con la sua personalità. Marina Viola odia le uova perché puzzano, ma per un maron glacé venderebbe senza alcun senso di colpa tutti e tre i figli. Ha una laurea in Sociologia presso Brooklyn College, l’università statale della città di New York. Da qualche anno tiene unblog in cui le piace raccontare alcuni momenti della sua vita. Ha scritto settimanalmente sul sito della Smemoranda (smemoranda.it) dell’America vista però in modo sarcastico e ironico.

A giugno del 2013 è uscito il suo primo libro, “Mio Padre è stato anche Beppe Viola”, edito da Feltrinelli. Nel suo secondo, “Storia del Mio Bambino Perfetto” (Rizzoli, 2014) racconta di Luca e dell’autismo.


Redazione

La redazione di "Per Noi Autistici" è costituita da contributori volontari che a vario titolo hanno competenza e personale esperienza delle tematiche che qui desiderano approfondire.

Lascia un commento

Pulsante per tornare all'inizio