Pensare Ribelle
Aiuto! I padri dell'autismo non erano stinchi di santo
L’inventore di ABA Ivar Loovas era sadico e arrogante usava l’elettroshock, le urla e le punizioni corporali con i bambini autistici. Hans Asperger era filo-nazista e fautore dell’eugenetica. In un saggio di due giornalisti americani il dark side della storia dell’ autismo.
Di libri sull’autismo, sotto forma di biografie oppure saggi, manuali d’informazione per genitori, storie di fantasia con protagonisti autistici (soprattutto Asperger) abbonda l’editoria anglosassone. Di questi tempi però l’autismo sembra essere diventato ancora più trendy. Come si rileva in una recensione apparsa su «The Guardian» il 17 gennaio scorso non passa inosservata l’uscita ravvicinata in libreria di due bei tomoni di cinquecento pagine ciascuno sulla storia dell’autismo.
Il primo risale a qualche tempo fa, «Neurotribes» del giornalista americano Steve Silberman vincitore del premio Samuel Johnson. A sorpresa pochi mesi dopo ecco l’uscita di «In a Different Key: The Story of Autism», un’analisi accurata della complessa evoluzione dell’autismo firmata da altri due giornalisti statunitensi Caren Zucker and John Donvan che si sono già occupati dell’argomento (entrambi hanno il problema in famiglia) e hanno prodotto anche reportage sul tema per l’emittente americana ABC.
Molti argomenti sono comuni nei due libri. Come il dibattito sulla difficoltà di diagnosticare l’autismo, perché non sono ancora chiari i fattori biologici, con il conseguente punto interrogativo se è vero che l’autismo sia in aumento, e se è così, quali potrebbero essere le cause e quali gli interventi migliori per aiutare le persone dello spettro a vivere dignitosamente la loro vita.
Zucker e Donvan hanno pubblicato nel 2010 un articolo apparso sul magazine «Atlantic» con la vicenda di Donald Triplett, oggi ottantenne, uno dei primi bambini a cui fu diagnosticato l’autismo nel 1943 che i giornalisti avevano scovato durante le loro ricerche. L’affascinante storia di Triplett viene raccontata pure in questo libro. Gli autori affrontano le pagine più buie della storia dell’autismo come l’età dell’istituzionalizzazione forzata con i bambini autistici tolti alle famiglie colpevolizzate (per averne un’idea basti leggere la «Fortezza vuota» di Bruno Bettelheim il “creatore” della mamma frigorifero)e poi le eterne guerre tra le associazione americane di raccolta fondi per l’autismo, le campagne per la scolarizzazione, i diritti e ricerche.
Non mancano i resoconti delle nefandezze compiute in nome di una «scienza» niente affatto scientifica. Come il panico, totalmente ingiustificato, per i vaccini trivalenti oppure le ricerche criminali degli anni Sessanta che sperimentavano la somministrazione di dosi massice di LSD ai bambini autistici.
Ovviamente «In a Different Key» si scandaglia la storia dell’autismo nei paesi anglosassoni e in minima parte il lavoro pionieristico in Nord Europa. Gli autori avallano la tesi che oggi la vita degli autistici è nettamente migliorata rispetto al passato: «La crudeltà e la noncuranza che hanno segnato la storia dell’autismo ora sembra superato». Consapevoli, ovviamente, che non è così in tutte le parti del mondo.
Ed ecco la grande differenza tra i due saggi. In «Neurotribes» Silberman esplicita chiaramente lo scopo del suo libro e cioè mostrare che gli autistici ci sono sempre stati e che possono dare molto alla società solo se la società si adopera a farli vivere meglio. Il messaggio del libro di Zucker e Donvan è meno chiaro. Gli autori sembrano prediligere la cronaca «nera» della storia dell’autismo – dalla frode della comunicazione facilitata perpetrata sulle persone autistiche che non possono parlare alla vicenda del padre che ha ammazzato il figlio autistico perché aveva paura che a causa del suo esibizionismo sessuale venisse istituzionalizzato. Non si va oltre il crudo racconto giornalistico e la drammatizzazione «ad effetto» scaturita dagli incontri con genitori e professionisti. Non si danno opinioni personali, però, su come la ricerca dovrebbe muoversi e su quali terapie funzionano di più.
Non c’è nessuna presa di posizione, ad esempio, su una delle più acclarate, l’Applied Behavioural Analysis (ABA)che aiuta i bambini autistici a perdere il loro isolamento, i comportamenti-problemi e quelli ripetitivi, e accresce il livello di competenze sociali. I detrattori più accesi di ABA lo paragonano al training dei cani, convinti che la terapia comportamentale vuole rendere gli autistici apparentemente normali (sfarfallio delle mani, permettendo) senza scalfire i loro rituali di auto-gratificanti.
Donvan e Zucker,invece, raccontano l’evoluzione di ABA attraverso il suo «creatore» e cioè l’americano di origine norvegese Ivar Lovaas, psicologo carismatico che negli anni Sessanta era solito usare l’elettroshock, le urla e le punizioni corporali con i bambini autistici. Lo descrivono arrogante, uno che si è appropriato senza merito dei successi di ABA e si dilungano in dettagli sulle sue inclinazioni sessuali. Nello stesso tempo però encomiano i tanti genitori convinti che attraverso ABA (quello moderno) hanno riconquistato i loro figli.
Zucker e Donvan ci regalano anche un ritratto non certo edificante, anzi inedito, di un altro «pilastro» dell’autismo, il pediatra austriaco Hans Asperger. Uno storico suo connazionale avrebbe scoperto alcuni documenti d’archivio ancora non di pubblico dominio in cui Hans Asperger non viene dipinto come l’amabile pediatra che tanto si adoperò per la causa dei suoi piccoli pazienti autistici ma piuttosto un dottore che contribuì attivamente alla politica nazista sulla necessaria eliminazione dei cittadini disabili improduttivi in nome dell’eugenetica. «In a Different Key» si dice che la firma di Asperger appare in documenti dai quali emerge che bambini gravemente disabili venivano da lui «curati» in un ospedale viennese tristemente famoso perché i piccoli disabili venivano sottoposti a regimi punitivi e somministrazione di droghe che li conducevano a una morte precoce.
Nessuno prima dei due americani autori del libro era mai venuto in possesso di questi documenti e finora Asperger era stato considerato un personaggio positivo. La notizia delle sue azioni durante il regime nazista è senza dubbio uno scoop del libro di Zucker e Donvan. La storia dell’autismo, perciò, va riscritta in alcune sue parti. In realtà, commenta The Guardian, la diatriba se Asperger sia stato un santo oppure un criminale filo-nazista non dovrebbe dominare il dibattito sull’autismo. Sarebbe meglio concentrarsi sull’esistenza o meno all’epoca di Asperger del concetto di autismo come entità.
Dal nostro punto di vista di contemporanei, quotidianamente, alle prese con l’autismo sapere che gli autistici in tempi neanche tanto lontani, non erano considerati neanche come individui autistici è molto triste. Stiamo ancora a combattere perché i loro diritti vengano salvaguardati e per garantirgli un futuro decente. La strada giusta è quella suggerita da Silberman: «Un modo per capire la neurodiversità è pensarla in termini di sistemi operativi umani. Solo perché un PC non legge Windows non vuol dire che sia rotto. In realtà dobbiamo stare tutti in coperta per raddrizzare la nave dell’umanità! E non possiamo permetterci di sprecare neanche un cervello».;