Cari amici ora vi dico perché ormai parlo solo di autistici…
Gli amici, ma solo quelli veri, mi dicono: “Non sei più lo stesso, parli solo di autistici e disabili! Non ti riconosciamo più!”. Può essere che sia cambiato in questi ultimi due o tre anni ed è giusto che lo ammetta. Chi in queste pagine mi legge non se ne farà meraviglia, siamo nello stesso lazzaretto dell’anima e non facciamo più caso ai nostri bubboni interiori, che oramai cominciano ad attraversarci la pelle e diventano visibili anche ai più distratti.
Vorrei se possibile far capire anche agli altri che mi sono sempre stati amici, che hanno vite magari segnate da esperienze dolorose, ma che non hanno idea del massacro mentale che può provocare avere un pensiero fisso e indelebile sulla sorte di un proprio figliolo.
Guardate bene non parlo di un figliolo come tutti quanti: cioè un po’ stronzo, un po’ tenero. Quello per capirci che un po’ ti sta sulle scatole, ma un po’ lo assolvi da tutto perché in fondo hai contribuito tu alla sua venuta al mondo e quindi sai che devi fartene carico, ma speri sempre che prima possibile ce la faccia a correre con le sue gambe e ti auguri che con lui la vita sia indulgente in più possibile.
No non parlo di questi…Parlo di quelli che pesano più di te, ti sovrastano di gran lunga in muscoli vigore e altezza, ma ti guardano (quando ti guardano…mica poi così spesso) come se sapessero che tutto il senso del poter esistere fosse legato a quelle poche e semplici cose che tu riesci a fare per loro.
Una passeggiata, una gita in macchina, lo sport, la colazione assieme al mattino, starsene avvinghiati sul divano a vedere per la millesima volta magari lo stesso cartone di Peppa Pig e della Sirenetta, mentre la loro barba ti pizzica sulle guance. Vorresti anche tu che questo fosse per sempre, lo speri perché l’ hai già da tempo barattato con tutto quello che di sorprendente, avventuroso ed estatico pensavi di poterti ancora permettere per la tua personale gioia.
Ma un pensiero fisso e straziante non ti abbandona: vedi quel ragazzone inerme e tenero, per quanto sembri possente come un orco, nelle mani di quei lazzaroni di operatori con i guanti e il camice.
Lo vedi nudo buttato per terra, terrorizzato che si copre le orecchie e chiude gli occhi, lo vedi preso a calci, trascinato per terra sbeffeggiato e irriso. Lo vedi nelle condizioni dei poveri uomini e donne di Decimomannu, di cui abbiamo raccontato oggi lo strazio.
Lo stesso identico set di una settimana fa nel bell’ istituto dei santi padri Camilliani dei Castelli Romani. Stesse stanze vuote, pavimenti sudici, pareti scrostate da galera. Persino i protagonisti sembrano avere la stessa maniera di muoversi, gli stessi abiti, le stesse corporature.
Non più tardi di sabato scorso avevo parlato con una madre, da anni è in causa con un signore che ancora da una di quelle parti ha la responsabilità di disabili, sotto la sua direzione qualcuno spaccò la mandibola e varie altre cose a un suo fratello disabile psichiatrico.
Ecco amici perché non sono più lo stesso: più vedo, più leggo e più scrivo di queste cose, più immagino il mio Tommy e i suoi teppautistici compagni di viaggio già sulla tradotta per essere deportati in uno di quei lager, quando io non ce la farò proprio più a tenerlo con me.
Non mi ricordate le nottate a bere Margarita, le fughe scavezzacollo, le follie per le piazze a sollevare donne per me mai troppo leggere, le mie infami invenzioni e le mie indicibili intenzioni…
Scusatemi lo so che vi ho fatto divertire tanto. Anche io mi sono tanto divertito con voi…
Ma ora non riesco a pensare ad altro che a questo.
Nemmeno una settimana fa scrivevo questo. Cosa scriverò tra una settimana?
Si sappia che spesso i disabili psichici sono picchiati e maltrattati dalle persone che dovrebbero proteggerli. Non è una storia d’ altri tempi, ma è la cruda sintesi della cronaca dei nostri giorni. Le immagini diffuse dalle telecamere nascoste dei Nas non lasciano dubbi: botte, calci, schiaffi che omoni nerboruti (con i guanti bianchi però…) distribuiscono ai piccoli pazienti inermi che si coprono il viso terrorizzati. Parliamo di una struttura d’eccellenza, di un prestigioso istituto dei Castelli Romani, gestito dai Padri Camilliani… Eppure se non ci fossero state le spy cam dei Carabinieri non avremmo capito che persino in quel posto c’era gente che menava le mani. Pochi giorni prima sono stati incriminati due operatori di una cooperativa sociale di Castello di Godego (Treviso), avevano preso a calci e pugni un ragazzo autistico di 21 anni perché non conoscevano altra maniera per gestire una sua crisi oppositiva. Lo hanno fatto scendere dal pulmino e lo hanno malmenato davanti agli altri ragazzi, come se fosse una necessaria “punizione”. Ancora una volta la neuro diversità resta assimilata a “una colpa”, lo testimonia il capo d’ accusa contro i due educatori che parla di “abuso di mezzi di correzione”, come se i comportamenti determinati da problemi neurologici fossero da considerare atti volontari da “correggere”. Sarebbe come punire un cieco perché non vede o tetraplegico perché non corre. Eppure oggi, nella percezione sociale più avanzata, si è maturato un concetto diffuso di ripugnanza persino per chi ammaestra animali da circo, per chi usa sistemi brutali nell’allevamento di galline, per chi maltratta animali domestici, su questo si è allertata una fitta rete di attenzione pubblica e i responsabili sono immediatamente indicati, a piena ragione, al disprezzo della collettività. E’ possibile che per sensibilizzare riguardo ai maltrattamenti verso gli umani più indifesi, segregati e non in grado di riferire la violenza subita, sia necessaria una telecamera nascosta che ne documenti l’orrore e ne riporti all’ attualità il problema? Sia che il set della raccapricciante candid camera indifferentemente un asilo, una scuola, un ospizio, un centro di riabilitazione. In una società avanzata solamente persone che hanno strumenti professionali specifici possono occuparsi dei disabili mentali, siano insegnanti di sostegno, che educatori o operatori generici. Il contatto con quella che ancora viene percepita come “follia” deve essere mediato dalla conoscenza del problema; il rifiuto a una richiesta, lo sbalzo umorale, una crisi oppositiva… Sono parte integrante del quotidiano di chi abbia dei problemi neurologici, un operatore specializzato sa quali siano le metodologie d’intervento per trattare emergenze del genere, senza dover ricorrere alla violenza o alla coercizione fisica. La brutalità diventa l’unica risposta possibile in una percezione ignorante e antiquata dell’intervento sul disabile, che si pensa debba essere “raddrizzato”, come fosse un discolo o un teppista. Potranno pure essere previste pene più severe per chi commetta reati di violenza e maltrattamenti all’ interno delle strutture sanitarie, ma non basterà a cambiare le cose. Il problema di fondo è culturale, antico e difficile a demolire. Il disabile psichiatrico non è il frutto di uno “scherzo della natura”, e in base a tale pregiudizio non deve essere destinato alla raccolta differenziata degli individui “a perdere”. Accanto a lui non vanno pensati dei semplici sorveglianti, ma piuttosto dei professionisti che lo affianchino nel suo quotidiano diritto a vivere con dignità e a ricordare al mondo che è un essere umano.