Le indennità di accompagnamento non sono reddito. E basta
La notizia è trasversale e tocca tutto il mondo della disabilità, #teppautistici compresi. ma è una notizia grossa, non solo per l’oggetto, ma forse soprattutto per il soggetto, anzi i soggetti. Oggetto: il nuovo Isee è stato definitivamente bocciato, nella parte in cui consideraa e conteggiava, per la prima volta, le indennità come reddito. In pratica, una schiera di famiglie con disabilità in casa ha visto “lievitare” magicamente, ma drammaticamente solo sulla carta, il proprio Isee. Con pesanti conseguenze economiche, in termini di compartecipazione alle spese sanitarie. E questo solo perché la disabilità comporta un’indennità. Le famiglie però non ci stanno, si organizzano e fanno ricorso al Tar: un ricorso collettivo, firmato da 110 famiglie in tutta Italia e presentato dall’avvocato Federico Sorrentino. Ricorso vinto: il Tar conferma che in effetti, l’indennità non è reddito, ma risarcimento. E quindi non può essere conteggiato dal nuovo “redditometro”. Punto.
Ma la storia continua. Il Consiglio dei ministri non ci sta, difende e rivendica il suo operato, dice che il nuovo è meglio del vecchio, che si tratta di equità e soprattutto che il nuovo Isee stanerà i “furbetti”. E fa ricorso al Consiglio di Stato. Oggi la risposta definitiva: NO! Per quanto Renzi insista, per quanto il governo si ostini a dire che questa strumento è buono e giusto, il Consiglio di Stato gli da torto. Questa cosa non s’ha da fare, tuona la sentenza che, per chi volesse leggerla tutta intera, è pubblicata qui. L’indennità non è reddito, non c’è argomento che tenga.
“L’indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie – si legge nella sentenza – servono non a remunerare alcunché, né certo all’accumulo del patrimonio personale, bensì a compensare un’oggettiva ed ontologica (cioè indipendente da ogni eventuale o ulteriore prestazione assistenziale attiva) situazione d’inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale. Tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest’ultimo ed a ristabilire una parità morale e competitiva. Essi non determinano infatti una ‘migliore’ situazione economica del disabile rispetto al non disabile, al più mirando a colmare tal situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale, prima o anche in assenza di essa”.
Esultano i ricorrenti, Chiara Bonanno in testa caregiver a tempo pieno di suo figlio Simone e tra le promotrici dell’iniziativa legale. “Ero sicura che il Consiglio di Stato ci avrebbe dato ragione! Questa è la prova che in Italia la giustizia ancora esiste, a dispetto di quanto vogliono farci credere. È una sentenza storica, perché nata dalla volontà di tante persone e famiglie vessate da una legge iniqua e ingiusta e da un governo che si è mostrato persecutorio nei nostri confronti. David ha vinto contro Golia: tante persone debolissime si sono letteralmente trascinate dal notaio, per firmare il mandato all’avvocato. E’ stato faticosissimo fare tutto questo: ma abbiamo vinto. I deboli hanno sconfitto il potere. E oggi festeggiamo”.