Botte ai teppautistici, le proposte per fermarle. Dalle telecamere agli albi
Botte e umiliazioni non risparmiano i più fragili: anzi, pare che disabili, anziani e bambini siano in questi giorni bersagli preferiti di operatori senza scrupoli, assunti e pagati per accudirli, che si trasformano in veri e propri aguzzini. NE abbiamo raccontate diverse, in questi giorni: dal #teppautistico picchiato dai “bulli” a Firenze a quell’altro preso a calci dagli operatori, vicino Treviso. E poi c’è statoi l caso, più eclatante e questa volta, diversamente dalle altre, riconosciuto degno dei media nazionali: il Villaggio Eugenio Litta di Grottaferrata, con i 10 arresti e le immagini agghiaccianti delle telecamere. Un centro per disabili psichici, dove non mancavano i #teppautistici. Di una di loro abbiamo anche raccontato. E quando ci sono le immagini, quando ci sono perfino le storie, gli animi si accendono o si commuovono, le reazioni (sopratutto quelle di pancia) non tardano ad arrivare e ciascuno vuole dire la sua. Ed è bene che se ne parli, in effetti. Purché se ne parli bene e con uno scopo. E non ci si limiti al linciaggio mediatico, al patibolo giornalistico e televisivo, al dibattito dal talk-show. O, peggio ancora, da bar. Al chiacchiericcio da social media.
Ci pare utile allora rilanciare questo articolo di Redattore sociale, in cui si isolano e si mettono a fuoco le proposte concrete, lasciando da parte i commenti sdegnati ma inutili e le parole al vento.
Nel frattempo, il direttore del Litta si è fatto vivo, ha voluto dire più di una parola sulla vicenda. Ha messo in chiaro che “pochi malfattori non possono cancellare il grande lavoro fatto in tanti anni” e che “siamo stati la prima struttura che ha avuto il coraggio di segnalare fatti del genere ed anche l’associazione dei familiari, la Afdel onlus, ha manifestato la propria vicinanza ed il proprio apprezzamento per tutti coloro che ogni giorno operano per il bene dei loro cari”.
Ma, al di là delle colpe, dei meriti e delle reputazioni, cosa si può fare, da oggi o al massimo domani, per impedire che tra qualche giorno si debba raccontare un caso simile? Che si debba parlare ancora di “lager”, riferendosi a un centro per disabili, #teppautistici, anziani o perfino ad asili e scuole materne?
Ecco alcune delle idee circolate in questi giorni: proposte di pancia e di testa, alcune già sui banchi dei parlamentari, altre oggetto di petizioni, tutte oggetto di dibattito, dal basso e dall’alto.
Bambini, anziani e disabili maltrattati: le proposte per fermare la violenza
Telecamere, aggravante del reato, apertura delle strutture ai familiari, albo degli educatori professionali: sono tante le idee lanciate (o rilanciate), dal basso o a livello istituzionale, di fronte ai casi di violenza. Le proposte di legge esistono, ma sono ferme
10 febbraio 2016
ROMA – Luoghi di accudimento che si trasformano in prigioni e “lager”, educatori che diventano aguzzini e l’assistenza che si deforma in violenza: diversi casi in pochissimi giorni. L’ultimo stamattina, a Parma, dove la polizia ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti della titolare di una casa famiglia per anziani e di due operatrici. Solo due giorni fa il caso di Grottaferrata, con 10 operatori indagati per aver maltrattato giovanissimi pazienti con disabilità psichica. Pochi giorni prima, il caso della scuola materna vicino a Modena, con una maestra agli arresti domiciliari per aver insultato e picchiato bambini tra i 3 e i 5 anni. Bambini, disabili e anziani: i più “fragili” diventano bersaglio di violenze in luoghi “protetti”: in cui però la “protezione” lascia il passo alla “correzione”, o alla “punizione”.
Tante e sdegnate le reazioni che da più parti arrivano di fronte a queste cronache: e insieme allo sdegno, ci sono le proposte, da parte di associazioni e istituzioni, perché “questo orrore non debba più ripetersi”. Comune è la domanda: cosa fare per rendere sicuri questi luoghi che, per definizione, dovrebbero esserlo? Come prevenire ed evitare che, tra quelle mura, possano verificarsi abusi e violenze? Riportiamo qui, in sintesi,alcune delle proposte emerse o rilanciate in questi giorni.
Le telecamere. E’ forse la reazione più “di pancia” e riflette, in un certo modo, il sentire più “popolare”. Ma è anche una proposta di legge, presentata alla Camera un anno e mezzo fa. Ed è oggetto di diverse petizioni popolari pubblicate in questi giorni sulla piattaforma Change.org: petizioni che, solo nel mese di febbraio, hanno raccolto complessivamente più di 25 mila firme
L’aggravante per reati commessi in struttura. É la proposta lanciata, anzi rilanciata, dal ministro Beatrice Lorenzin durante la conferenza stampa sul caso di Grottaferrata. “E’ di fondamentale importanza – ha detto – l’approvazione del ddl che porta il mio nome, da due anni fermo in Senato. In esso è contenuta l’aggravante per chi commette reati all’interno delle strutture socio-sanitarie. Aumentare di un terzo la pena per gli autori di gesti così ripugnanti credo sia il giusto segnale che dobbiamo dare in difesa dei nostri concittadini più fragili”.Il riferimento è all’articolo 6 del disegno di legge 1324, presentato il 21 febbraio 2014.
Strutture aperte alle famiglie e albo degli educatori. Sono le due idee lanciate da Roberto Speziale, presidente nazionale di Anffas, durante la trasmissione di Gianluca Nicoletti “Anche noi disabili. Melog” di ieri mattina, dedicata proprio al caso di Grottaferrata. “Sarebbe importante – ha detto Speziale – che qualsiasi centro e servizio fosse costantemente aperto ai familiari, che con il loro occhio attento possono funzionare sia come deterrente, sia come verifica delle condizioni dei pazienti”. L’altra. proposta riguarda l’istituzione di un “albo degli educatori professionali, perché accanto a disabili, anziani e bambini devono stare persone con capacità professionale e cultura adeguate alle difficoltà che questo lavoro comporta”. E anche una proposta di legge in tal senso già esiste: è stata presentata nell’ottobre 2014 da Iori e altri, come “Disciplina delle professioni di educatore e pedagogista”. E la discussione in commissione è iniziata lo scorso luglio.
Meno strutture, più domiciliarità. Accanto a queste proposte, tutte piuttosto circoscritte e tese a migliorare, ma non a eliminare, le strutture esistenti, c’è la posizione radicale di chi invece – limitatamente alla disabilità – ritiene che siano le strutture stesse a dover essere superate, in favore di un sostegno alla domiciliarità che tuttora, in Italia, manca. E che continua a mancare, osservano alcuni, anche nella legge sul Dopo di noi appena approvata alla Camera, che avrebbe proprio il difetto e la colpa di “sancire la fine della domiciliarità in Italia”, come denuncia Chiara Bonanno, mamma di un ragazzo gravemente disabile di cui è caregiver a tempo pieno. “Le telecamere non hanno mai impedito un abuso o una violenza, semmai l’hanno documentata – osserva Chiara a proposito di quanto accaduto a Grottaferrata – L’unica maniera per salvaguardare le persone più fragili è non isolarle mai! Stare in mezzo alla gente, sempre e comunque: non esiste alcuna ragione civile per cui una persona che ha bisogno di assistenza debba essere relegata in disparte. Le ‘strutture protette’ proteggono solo gli abusi: l’unica reale protezione le persone con disabilità la ricevono solo vivendo tra di noi, perché è l’intera collettività che protegge una persona con disabilità”. (cl)