Mamma frigorifero sticaz…
Gabriella La Rovere ha appena visto lo spot Rai dedicato all’ autismo con la mamma e il suo cuore riparatore. La reazione è stata esplosiva e la riportiamo senza censure…Eccetto che nel titolo, lievemente edulcorato
Era luglio 1993 e mia figlia aveva da poco compiuto un anno quando il neuropsichiatra, che venne consultato per quello che sembrava un episodio di pavor notturno, ventilò l’ipotesi che, al di là del fatto acuto, potesse essere autistica. Ricordo che provai una forte nausea e la stanza brillò come se fosse illuminata da tutti i riflettori dello stadio Olimpico.
Da quel giorno iniziò il mio calvario perché era ancora lontano il 1997, anno in cui la teoria proposta da Bruno Bettelheim venne bollata come “sonora cazzata”. Il dott. Bettelheim era uno psicanalista austriaco, assertore dell’azione nefasta della madre sulla crescita del bambino, tanto da renderlo autistico.
L’immagine e lo stigma della madre frigorifero ha tormentato generazioni di donne per 30 anni.
E io ero tra queste, ne incarnavo tutte le caratteristiche: laureata con il massimo, pragmatica, avevo lavorato fino al giorno prima di partorire e avevo ripreso dopo tre mesi, continuando ad allattare al seno mia figlia tra un paziente e l’altro, non ero avvezza a smancerie, non cambiavo voce quando parlavo con lei, non facevo moine, né mi impegnavo in discorsi riguardo il culetto arrossato o il rigurgito dopo il pasto. Avendo poi l’autismo interessato una femmina ed essere di per sé una rarità, mi poneva a capo di tutte le mamme frigorifero.
Il mio essere medico non mi ha risparmiato gli interrogatori sul comportamento che tenevo con lei da parte degli stessi colleghi. Cinque anni di sensi di colpa che non sono stati abbonati dal suicidio di Bettelheim.
Dal 1997 non è cambiato granché, le parole sono diverse ma la sostanza è la stessa e lo spot che verrà propinato allo spettatore dalle reti Rai in occasione del 2 aprile, quando tutto sarà più blu, anche più del cielo di Rino Gaetano, insinua il concetto che solo la mamma ha la chiave per aprire la fortezza di Bettelheim.
L’animazione richiama un cortometraggio francese dove la voce infantile della sorellina che racconta di questo fratello venuto dalla Luna, serve a dare un tocco poetico a quello che è in realtà una tragedia.
Crescere un figlio autistico vuol dire non dormire, mangiare quando capita, girare per ore in macchina senza fermarsi mai, prenderlo in braccio e scappare non appena si sente un rumore in lontananza, non avere più amici, non poter fare la spesa in tranquillità ma comprare al volo lo stretto necessario pregando il Cielo che non ci sia fila alla cassa, non avere tempo nemmeno per fare pipì e se questo non è già sufficiente, bisogna combattere ogni giorno perché siano garantiti i suoi diritti come persona.
L’autismo ha bisogno di una rete di professionisti in grado di sostenere i genitori e di una comunicazione efficace, non solo nei riguardi di chi ne soffre, ma di tutta la società.
E’ troppo comodo commuoversi guardando lo spot e tutto torna esattamente come prima all’ultima inquadratura, quando la dissolvenza inghiotte il problema e il suo ricordo.