Sorelle e fratelli di disabili, una favola per raccontarli
Abbiamo già affrontato, con il racconto di alcune esperienze dirette, la tematica dei fratelli e delle sorelle di teppautistici, da pochi anni si rivolge a loro l’attenzione anche della psicologia. Giulia Franco è una psicologa evoutiva, sorella di Giacomo disabile gravo, da 3 anni conduce gruppi di ragazzi che vivono nelle sue stesse condizioni. Dalla sua esperienza personale e da quella professionale ha tratto ispirazione per scrivere una favola “Il guanto di mio fratello” illustrato da Bianca Maria Scotton (edizioni Il Prato). Oggi, 18 Marzo alle 17.30 la presenterà nel Teatro del VII Circolo Didattico Montessori ( Via Santa Maria Goretti 41 a Roma) in un incontro organizzato da diverse associazioni (Roda Onlus, Angsa Lazio, Una breccia nel muro oltre l’autismo, Siblings sorelle e fratelli di persone con disabilità) con il patrocinio dell’assessorato alle politiche educative del II municipio.
“Non sono tra quelli che dicono “bellissima esperienza”, è difficile, ma bisogna trovare il modo di trasformare il dolore in una ricchezza. La rabbia può diventare amore.
Io sono quello che sono grazie a mio fratello.”
Giulia Franco è una psicologa evolutiva, sorella di Giacomo, disabile grave dalla nascita, ha portato la sua esperienza personale nel lavoro quotidiano che svolge con gruppi di fratelli e sorelle di disabili e ora anche nelle pagine di una favola illustrata che vuole diventare uno strumento di sostegno per chi vive queste realtà e di conoscenza per chi invece le ignora.
Hina e Tabi sono due fratelli. Hina in giapponese significa sole perché è lei che indica la strada a Tabi che vuole dire invece viaggio, quello che intraprendono i due alla ricerca di un mago. Lo scopo della missione è togliere il guanto rosso che Tabi ha dalla nascita, ma che Hina ha scoperto da poco e da cui vuole liberarlo.
Insieme vivono diverse avventure. Nel deserto Tabi ha molto caldo per via del guanto, ma poi proprio grazie ad esso riesce a prendere la borraccia che è finita tra i cactus. Tra gli indiani che ballano Tabi è a disagio, non sa ballare, poi però con il suo guanto può suonare il tamburo con più forza rispetto agli altri.
“Volevo mostrare sempre il rovescio della medaglia della disabilità che genera un problema, ma può diventare anche una risorsa se compresa.” Il mago alla fine non toglierà il guanto, dirà ad Hina di accettarlo e trasformare ciò che sente in amore.
“Grazie fratellino, a te devo quello che sono.”
E’ la frase finale della favola
Giulia ha presentato il libro in alcune scuole elementari, verso i destinatari principali dell’opera, le loro domande e riflessioni l’hanno colpita. “Sono diretti nel chiedermi come facessi a giocare con Giacomo, ma poi capiscono e diventano profondi, allora si svela come queste informazioni siano fondamentali per seminare il futuro della società. C’è bisogno di maggiore attenzione, da poco ci si interessa delle figure dei fratelli e delle sorelle dei disabili, non sono destinati a traumi psicologici, se ben supportati possono affrontare le difficoltà della vita con più forza. Noi usiamo l’aggettivo resilienti.”
Più taciturni, riservati, responsabili, la vulgata tradizionale li vede così, ma Giulia aggiunge altri aggettivi per definire fratelli e sorelle dei disabili. “Sono più semplici. Ho organizzato dei laboratori con una fotografa professionista, dovevano realizzare degli album con immagini insieme al proprio fratello e si sono divertiti tantissimo. Con pochi strumenti erano felici di giocare”. Attenti, ma pronti a stupirsi come Hina e Tabi. Non si sa se ci sarà un seguito della loro storia che li vedrà adolescenti, ma dal libro, che si spera raggiunga diverse classi in varie scuole, verrà tratta una sceneggiatura teatrale.