De Niro e il suo ragazzo autistico dietro la mancata resurrezione artistica di un ex medico cialtrone
Robert De Niro è tra i miei eroi da quando vidi “Taxi Driver”. Ancora più mi è sembrata fatale la mia ammirazione per lui quando ho scoperto che è nato come me il 17 agosto ( undici anni prima però). Mi è infine parsa una fatalità ulteriore quando ho saputo che ha un figlio autistico che si chiama Heliot, classe 1998, lo stesso anno in cui Tommy nacque e io non c’ero.
Mentre scrivo e rifletto ho davanti agli occhi la foto pubblicata qui accanto: è stata scattata a Cap d’Antibes e fa parte di una sequenza di scatti che raccontano di un soggiorno in Francia di De Niro con la moglie Grace Hightower e il figlio Elliot. La coppia assieme al ragazzo e un codazzo di amici scende lungo i gradini scavati nella scogliera del leggendario Hotel Du Cap Eden Roc, per salire sul tender che li avrebbe portati alla barca con cui immagino sarebbero andati in gita assieme.
L’attore, come è giusto che sia, sta avanti a un palmo dal figlio, facendo da apristrada e pronto a intervenire se il ragazzo avesse qualche problema. La madre, imponente e protettiva, lo tiene per la mano, come sempre ho visto fare alle madri dei ragazzoni autistici, che per quanto si possa loro dire non rinunciano mai a tenersi stretti quei gigantoni, come se fossero sempre rimasti i loro pulcini da difendere.
Al momento di salire sul gommoncino papà De Niro prende il braccio del ragazzo per dargli sicurezza, la madre è presente da dietro, un paio di persone già a bordo tendono la mano perchè anche quel piccolissimo passaggio tra la terraferma e dondolio dell’imbarcazione non possa creare al ragazzo un’ ansia maggiore di quella che, chi ha l’ occhio allenato come noi autistici, non può fare a meno di vedere nella sua espressione preoccupata.
Se al posto di Elliot ci fosse stato Tommy avrebbe detto “Papà aiuto!” Ma solo per un rito propiziatorio capace di rassicurarlo, superato l’ ostacolo mentale di quei pochi centimetri di abisso tra la banchina e la barca, per lui andare in alto mare, tuffarsi e restare in acqua a far capriole sarebbe stata la cosa più naturale del mondo.
Tra ieri e oggi ho staccato il telefono proprio perché non avevo voglia di rispondere ai colleghi che mi cercavano perchè commentassi il rifiuto di Robert de Niro di gratificare un cialtrone come Andrew Wakefield dandogli dignità attraverso il suo TriBeCa Film Festival , che si è inventato proprio per riscossa del suo quartiere di vip dopo lo sconforto per il disastro del vicino World Trade Center, quasi come risposta poetica all’ottusità espressa dall’ 11 settembre.
Non ho commenti da fare. Dico solo che chi ha un figlio da gestire come Helliot (o come Tommy), può essere anche un artista multimiliardario, ma se ha il coraggio di non nasconderlo, come tantissimi suoi (e miei) colleghi fanno, ma ancora più se ha mezzi per diffondere cultura dove spesso esiste solo superstizione, soprattutto se tiene per il braccio tutti i giorni suoi figlio, è consapevole quanto sia immensa la sua responsabilità di uomo pubblico, ogni volta che parla di autismo avendolo come problema in casa .
E’ probabile che in un primo tempo proiettare il film del creatore delle fandonie sui vaccini che fanno diventare autistici sia sembrata una buona occasione per discutere di un problema di cui egli è, anche se indirettamente, testimonial. Forse potrebbe essere pure lui, come molti, convinto che possa esistere davvero un complotto oscurantista che ci vuole tutti vaccinati per biechi interessi industriali.
E’ però invece sicuro che qualcuno sia riuscito a farlo ragionare sul fatto che consacrare al rango di credibile regista e autore Andrew Wakefield, il medico radiato e svergognato da tutta la comunità scientifica sarebbe stata una responsabilità veramente pesante per lui.
Mi fermo qui perché già sento battere sulle tastiere tutti quelli che non aspettano altro che questa occasione per darmi del venduto, del servo delle multinazionali, dell’ottuso nonostante il problema del figlio, incapace di vedere la verità nella sua fulgida evidenza come esprime quel martire della “scienza non ufficiale” di Wakefield, che indico come il maggior responsabile di tutte le più clamorose fortune degli spacciatori di illusioni a caro prezzo, quelli che ancora fanno perdere tempo e risorse preziosi a tanti genitori di autistici in cerca di salvezza per i loro figli.
Leggi la cronaca e il commento di Valeria Scafetta: “De Niro uno di noi autistici”