Pietro e Luciano. Storia di caffè, autismo e futuro possibile
Un autistico può fare il barista? Non come attività formativa all’interno di un centro per disabili, ma fuori, nel cuore di Roma, con colleghi e clienti, cosiddetti normali. Pietro lo fa: 21 anni, da 3 al servizio al banco del bar Lillo, a Trastevere. Un esperimento che, per diverse situazioni simili, potrebbe diventare un modello da seguire per provare a garantire a chi, come lui ha dimostrato di poterlo fare, un futuro diverso, sicuramente più dignitoso e forse con un po’ di autonomia.
Sistema tazzine, versa acqua nei bicchieri, fa cassa (assistito), accoglie tutti con il sorriso e all’ora del pranzo apparecchia e serve ai tavoli, carica e scarica la lavastoviglie: Pietro è un barista rapido e gentile come serve in un locale di Trastevere, frequentato da clienti fissi e dai turisti. Parla poco, non è straniero come i suoi colleghi al banco e in cucina: è autistico. Dopo tre anni di stage estivi, da ottobre è operativo ogni mattina, per 4 giorni la settimana dalle 9.00 alle 14.30, nel bar Lillo, storico ritrovo di via dei Genovesi. “Non sapevo chi mi avrebbero mandato e non avevo mai conosciuto autistici. Poi è arrivato Pietro e da allora, quando il mercoledì non viene mi manca tantissimo.” Luciano Piastra ha 52 anni, dal 1984 lavora nel bar di cui dal 2007 è titolare . E’ lui che gli ha insegnato il mestiere e, ci tiene a precisare, senza nessuna distinzione rispetto agli altri stagisti.
“Down, autistici cosiddetti normali io li seguo allo stesso modo. Fare il caffè è come andare in bicicletta quello che è importante imparare è il comportamento. Il primo anno che Pietro è stato qui abbiamo girato un video che lo riprendeva mentre lavorava, dovremmo farne un altro ora per far vedere i suoi progressi. Si muove con disinvoltura e soprattutto ha imparato a sorridere: è un barista.”
Il percorso è iniziato al quarto anno di scuola superiore, nell’istituto alberghiero Gioberti: un’ora a settimana con vicino l’insegnante di sostegno. “E’ stata un’esperienza che gli è piaciuta molto – racconta Andrea, il padre – ha sempre cercato il contatto con le persone, purtroppo non è mai riuscito a creare rapporti con i suoi coetanei, non ha trovato grande apertura da parte loro, ma al bar, sin dai primi giorni sembrava felice. E’ come se avesse fatto squadra con gli altri ragazzi e con Luciano”
Per questo si è cercato il modo per farlo proseguire. Vista la disponibilità e l’umanità del proprietario del locale, la famiglia ha presentato al presidente della Commissione Commercio del Comune un progetto formativo per cui è stato rilasciato un patrocinio gratuito che ha consentito di fare stage per due estati di seguito sotto l’occhio vigile di Luciano e la supervisione di Alessandro, l’amico psicologo. Ad ottobre del 2015 è cominciato invece il periodo di tirocinio lavorativo con garanzia giovani.
“Poteva fare il sesto anno di superiori come altri ragazzi nelle sue condizioni, invece ha scelto il bar, è la sua migliore terapia.”
Dal piccolo banco di scuola nel quale riusciva a stare poco fermo al bancone dove può muoversi sotto lo sguardo attento e premuroso di chi lo affianca.“E’ come quando si gioca a corda, prima salti da solo poi piano piano si inseriscono gli altri e il gioco continua. E’ un lavoro di squadra, di un gruppo che lavora insieme: io, Pietro e i suoi 5 colleghi srilankesi”
Luciano descrive con orgoglio il clima di serenità che si respira nel bar in cui lavora da oltre 30 anni, ma ammette che qualcosa mancava. “Pietro è la goccia che ha fatto traboccare il vaso, da sempre mi occupo degli altri, come gli anziani della casa di riposo e della strada, è un modo per sentirmi meno solo e confrontarmi con i problemi di chi mi sta intorno, forse per sentire meno i miei. Pietro mi ha dato molto di più di quello che gli ho insegnato. Sono contento, i clienti gli vogliono bene. Non lo trattano da autistico, visto che parla in maniera particolare a volte mi chiedono da dove venga.”
Arriva tutte le mattine puntuali da Ladispoli dove è cresciuto con genitori sempre presenti che hanno lottato per fargli avere tutto ciò che poteva rendergli la vita più dignitosa. “Uno dei primi ricordi di Pietro è all’asilo: ogni mattina prendeva una bambina dal passeggino e la tirava, la spingeva. Ci siamo dovuti battere da subito per avere gli insegnanti di sostegno e gli educatori. Come pure per il centro dove svolgeva le terapie, chiuso all’improvviso, per cui siamo dovuti andare dal Prefetto per chiedere un importante provvedimento che consentisse la continuità terapeutica a Pietro ed altri 500 pazienti piccoli e grandi. Con gli anni ho capito che è indispensabile la presa in carico a 360° per i ragazzi e per le famiglie, in maniera coordinata da parte delle istituzioni che già esistono. Oppure è una impossibile e logorante battaglia continua tra burocrazie e ostacoli. “
Una sfida che al momento pare abbia portato a risultati importanti e che il padre di Pietro ci tiene a condividere con tutti coloro che hanno, a vario titolo, partecipato. “Se Pietro ora ci sembra sia felice lo dobbiamo ad un gruppo di persone che ci hanno consigliato, sostenuto e supportato durante il percorso.
“ Grazie agli specialisti (professori universitari, medici, ricercatori, terapeuti): Luciano, Alessandro, Fiorenzo ,Anna, Lucio ,Sharon, Alberto, TizianaP Giorgia, Francesca, Giulio, Donata, Michael, Giovanni, Maurizio, Giuseppe, Michele, TizianaC, Franca, Daniele, Francesco. E grazie agli amici, ai colleghi e ai clienti: Sanka, Chicco, Ruan, Sisir ,Sangiva, Monica, Franco , Enzo, Anna, Mario, Teresa, Janine ,Antonella, Annamaria. “
|
La strada del “durante noi “ e del “dopo di noi” è una salita scivolosa che non dà respiro, anche se siamo consapevoli che avremo altre difficoltà da superare forse abbiamo passato il periodo più duro.”
Il sorriso di Pietro, l’affetto dei clienti e la tranquillità con cui serve e saluta chiunque entri nell’affollato locale trasteverino ne sono una prova.
“Il caos lo turba in autobus, nei luoghi affollati e rumorosi, fuori l’imprevisto e le ansie sono sempre in agguato, ma non al bar . Per lui è una terapia a tutti gli effetti, l’alternativa era stare a casa e non fare nulla che gli possa interessare. Lui fa un lavoro come gli altri . La comunità scientifica Italiana e mondiale pone tra le modalità terapeutiche di successo per l’autismo, la strutturazione, organizzazione e gratificazione della vita , quello che attualmente per Pietro è possibile grazie alla disponibilità ed apertura mentale di Luciano deve essere per le istituzioni il reale esempio tangibile di buone pratiche da adottare, promuovere e clonare per prevenire e gestire i “comportamenti problema. Considerato inoltre il forte incremento della patologia, quando Pietro era piccolo la comunità scientifica parlava del 4×1000, ora invece siamo al 16×1000, è veramente indispensabile che si crei, come al Bar, un modello di integrazione da sostenere e sviluppare ed al tempo stesso concretizzare situazioni di presa in carico pubblica come ha iniziato la ASLRM4 con la creazione del Osservatorio per l’Autismo! E spero che a Roma ci siano altri municipi come il primo che incoraggino queste esperienze”
Intanto, quando scadrà il progetto garanzia giovani, a settembre, Luciano si è già espresso: “Già ora ogni settimana gli do io una piccola paga, per cui terrò Pietro e sarò felice di garantirgli uno stipendio. Come farei senza di lui.”