Teppautistici al lavoro, con gli Ortolani coraggiosi
Guai a chiamarlo “centro”, loro sono “Ortolani coraggiosi” e ci tengono. E sono un’Azienda, con la A maiuscola: tengono molto anche a questo. Perché qui i #teppautistici non vengono “controllati”, né tanto meno “assistiti” o “curati”: qui si lavora e si lavora duro. Si lavora la terra, se ne raccolgono i frutti, se ne vendono i prodotti. Non è certo l’unica esperienza in Italia, ma diversamente da tante altre questa prova a stare sul mercato, seguendo le sue leggi: quel che è buono si vende. E così punta sul buon prodotto, sulla buona terra. E sul “buon” lavoro.
Il lavoro è quello di 12 ragazzi #teppautistici tra i 17 e i 25 anni, intercettati e coinvolti dalla cooperativa Sinergic@, insieme alle associazioni Autismo Toscana e Autismo Casa di Ventignano, collabora al progetto “Autismo e Lavoro agricolo”. E i #teppautistici, con gli operatori-contadini che stanno accanto a loro, sono gli “Ortolani coraggiosi di Ventignano”. Zappano, vangano, seminano e raccolgono perché questo li fa stare meglio. E offrono i loro prodotti sul mercato perché sono “buoni”, in tutti i sensi: “Fai la mossa giusta!”, è l’appello che rivolgono ai possibili acquirenti. E il prezzo è competitivo: 5 kg di ortaggi misti a 10 euro. Tutte le istruzioni per l’acquisto delle cassette si trovano qui.
Anche la pagina Facebbok della cooperativa è ricca di informazioni, aggiornamenti e fotografie dei #teppautistici al lavoro.
Un lavoro che è una scommessa: non si vincerà sempre, ma le sconfitte non li scoraggiano, questi Ortolani coraggiosi. Come racconta accorato il post di una psicologa-contadina che ha puntato su questa idea e che oggi pubblica il suo pensiero su un blog nuovo di zecca, “Facce di Fucecchio”. A lei la parola.
– Non lo chiamare centro perché ti fulmino –
– Come vi chiamo allora? –
– Ortolani Coraggiosi, cooperativa, azienda. Azienda è la parola giusta.
Vogliamo che una cosa sia ben chiara: qui i ragazzi lavorano. Sono tempi strani: una parte della psichiatria si specializza nella coabitazione, l’altra costruisce poli della disabilità. È così che li chiamano adesso ma sono centri manicomiali con centinaia di posti. Noi puntiamo su altro: sulla prospettiva, sul lavoro. Hai letto il manifesto sulla vita libera dei ragazzi disabili a cui abbiamo aderito? Qualsiasi ragazzo a vent’anni ha diritto di vivere una vita da ventenne e un ragazzo autistico si merita un futuro migliore di un centro diurno.
Abbiamo comprato terreni, cominciato a coltivare la terra e vendere cassette di verdura. Siamo qui tutte le mattine, dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 12. Adesso andiamo avanti grazie ai finanziamenti privati, quelli pubblici sono finiti. Ci siamo fatti un mazzo tanto per chiedere fondi sociali europei ma anche quelli sono pochi, limitati. Eppure il nostro è un progetto unico: esistono altre realtà simili alla nostra ma nessuna commercializza come facciamo noi. Siamo una vera azienda agricola e come tutte le aziende dobbiamo guadagnare quanto serve a mantenerci. Con quello che vendiamo invece non arriviamo a fine mese. Sono una decina i ragazzi che lavorano qui: non con le parole ma con i loro comportamenti ci dicono che stanno meglio. Sono meno aggressivi, stanno tutti insieme, a loro agio nel mondo. Alcuni di loro vanno anche a vendere le cassette di verdura, “questa l’ho fatta io” ti dicono. Quando ci ritroviamo tutti insieme con le loro famiglie è bellissimo: è stando insieme che si diventa normali. Sai cosa sogno? Un mondo dove tutti possano andare al ristorante insieme e nessuno si scandalizzi se a un certo punto qualcuno si alza e fa le giravolte su se stesso. Per l’otto maggio abbiamo organizzato una baccellata: ci piacerebbe che più gente possibile venisse a vedere ciò che facciamo, comprasse la nostra verdura con la naturalezza con cui la compra al supermercato. E che la comprasse perché è buona, non per beneficenza.
Sono qui dal dicembre 2014: cercavano aiuto e sono venuta a fare volontariato. A volte penso sia stato il caso a guidare la mia vita. Al liceo la professoressa mi consigliò di andare a Padova a studiare psicologia, io non sapevo neppure bene dove fosse. Superato il test avevo soltanto due giorni per decidermi. Andai. Sono stata bene là ma negli ultimi tempi non sopportavo più il caos della città, ogni scusa era buona per tornare a Fucecchio. Sono contenta di abitare qui ma non l’ho saputo finché non sono andata via. Mi avevano proposto un dottorato di ricerca ma Padova è fredda, cupa, c’è sempre la pioggia… è proprio Pianura Padana! Fare la psicologa là è impossibile, è una città che ne sforna migliaia. Per i miei colleghi veneti – che chiamano Terronia tutto ciò che sta sotto al Po – io ero la ragazza di campagna, quella che sarebbe finita a fare la contadina. Ed eccomi qui: psicologa e contadina. Zappo la terra è vero, e mi piace, è un approccio diverso alla psicologia. Più concreto. Adesso lavoro qui come libera professionista, mi occupo della parte educativa, organizzo le attività, aiuto i nostri contadini a rapportarsi ai ragazzi. Quando parliamo diamo tante di quelle cose per scontate mentre gli autistici prendono tutto alla lettera: io sono l’intermediaria tra la nostra lingua e la loro. Ho iniziato in punta di piedi: quando arrivai la prima volta mi misi in un angolo e osservai. Ma piano piano, non so neppure come, è diventato naturale. È sempre così che si conoscono le persone, piano piano. Quando impari a conoscere diventa tutto normale, quando non conosci ti sembra tutto strano, hai paura. Spero che questa sia la prima di tante azienda simili, spero che vada avanti, che venga sempre più gente a comprare e investire da noi, per dare un futuro a questi ragazzi in modo tale che… – non mi piace la parola normale, mi piace la parola uguale – in modo tale che vivano come gli altri, che possano svegliarsi, uscire di casa, andare al lavoro. Qui lavoriamo tutti perché ciò si realizzi e abbiamo tutti la speranza di riuscirci. I vincoli burocratici sono ostici, durissimi ma noi siamo più duri del duro dei vincoli.