Pensieri in libertà dei tre neuropsichiatri che hanno portato gli autistici alle Olimpiadi di Rio
Abbiamo chiesto un parere personale ai tre neuropsichiatri del Bambino Gesù di Roma Stefano Vicari, Giovanni Valeri e Luigi Mazzone che sono stati protagonisti della fantastica esperienza di portare otto ragazzi autistici alle Olimpiadi di Rio. Sono tre medici e ricercatori qualificati e appassionati che hanno voluto per una settimana dimostrare che “si può fare” quello che molti loro colleghi e molti genitori non pensano possibile per dei giovani neuro diversi. Se un gruppo di ragazzi riesce ad affrontare le difficoltà di un lungo viaggio intercontinentale, la permanenza in hotel per una settimana in un paese straniero, lo stress di essere al centro di un evento complesso come l’ Olimpiade è evidente che per la loro inclusione in un ambiente sociale, molto più tranquillo e per loro consueto come quello delle loro città, è solo questione di applicarsi con metodo e buona volontà. Si consideri che questi ragazzi non avevano al loro seguito nessun familiare e di loro si sono occupati, come fossero semplici educatori, un primario, psichiatri e psicologhe ricercatrici (Laura Fatta, Giulia Giovagnoli, Lavinia De Peppo e la maestra di scherma Irene Ive) che non sono certo le persone che i ragazzi vedevano tutti i giorni. Eppure non ci sono stati mai problemi…
Su questo esperimento torneremo presto, dovrà essere un modello da replicare in altri contesti e con altri ragazzi. Da parte nostra ci sentiamo in dovere di ringraziare di cuore questi tre amici che hanno gettato per una settimana il camice alle ortiche assieme a tutti i blasoni professionali che ognuno di loro giustamente si è meritato studiando e lavorando sodo. Hanno dato un grande esempio a tanti loro colleghi che associazionano, parlano, presiedono, teorizzano, convegnizzano, supercazzolano… Ma in sostanza non hanno mai avuto lo stomaco di passare, non dico una settimana, ma un’ora assieme a dei ragazzi autistici. Siamo a loro grati di averci provato e di esserci riusciti. Per noi autistici il loro gesto ardito fa veramente la differenza. (GN)
Siamo tornati soltanto da due giorni e, a mente più fredda, tentiamo un primo bilancio ponendoci tre domande: Accompagnare otto ragazzi autistici alle Olimpiadi di Rio è stata una follia? Quale senso ha avuto? E quale senso ha per il futuro? Andare a Rio è stato meno “folle” del previsto. I ragazzi hanno retto lo stress al di la di ogni aspettativa e, sorprendentemente, hanno fatto gruppo, interagendo con noi e i loro compagni tanto da costringerci ogni volta a chiederci: “ma sono davvero autistici?” Che l’autismo sia amplificato dal contesto in cui si vive? Verrebbe proprio la voglia di dirlo con forza… Il senso? Non abbiamo mai avuto la presunzione di dimostrare una nuova “cura” per l’Autismo, non siamo così folli ma solo di accendere i riflettori su spazi di possibile “normalità” dell’autismo. A giudicare dalle reazioni registrate ci sembra di essere riusciti nell’intento. Il futuro? Tutto da costruire. Ampliare gli spazi di integrazione, ridurre la medicalizzazione, intravedere negli autistici le persone che sono oltre la disabilità. Una bella scommessa per cui lavorare. E infine che dire se non grazie? Ai nostri ragazzi, gli otto spadaccini con cui abbiamo condiviso ogni minuto di questa avventura, grazie ai colleghi infaticabili, splendidi, fantastici: abbiamo imparato di più sull’autismo da questa convivenza che da anni di congressi… Grazie a Luigi Mazzone e al Bar dove ci è venuta questa folle idea… Grazie all’Ospedale che ci ha presi sul serio e ci ha sostenuti. Grazie ai 4 atleti (quelli veri!) per la loro medaglia e il loro affetto. Grazie a Lia che è nel nostro cuore e nei nostri sorrisi, sempre. Stefano Vicari Aggiungerei solamente che questa esperienza dovrebbe contribuire a dimostrare a tutti (noi “specialisti” compresi) che i ragazzi autistici possono fare esperienze complesse condividendole con il mondo dei “neurotipici”. Non va però sottovalutato un altro aspetto: vivere dieci giorni con questi ragazzi ha permesso di comprendere meglio la fatica “psichica” di chi – genitore, insegnante, educatore- si prende cura giornalmente di loro. E’ necessaria una costante attenzione psichica per decodificare comportamenti e per prevedere quali aspetti del contesto ambientale possono essere stimolanti o interferenti. Vorrei provare a rendere meno astratto quanto detto con un esempio: uno dei ragazzi ha iniziato a camminare zoppicando, ma alle nostre richieste non sapeva che rispondere in modo generico “sono stanco, cammino male”. Dopo aver notato che le scarpe sembravano essere piccole per la sua statura, gli abbiamo chiesto di sfilarsi la scarpa ed abbiamo subito osservato che due dita del piede erano ferite dallo sfregamento della scarpa. Il ragazzo, vedendo le ferite, ha avuto allora una crisi di panico: “che cosa faccio ora?” e restava immobile, come congelato, incapace di pensare una qualche soluzione al problema. Quando gli è stato consigliato di usare la scarpa come una pantofola è esploso in ringraziamenti: “mi avete salvato..” Quello stesso ragazzo, con autismo senza disabilità intellettiva, mi aveva spiegato in modo particolareggiato il funzionamento del mio tablet qualche ora prima…Giovanni Valeri La mia idea sull’avventura Rio l’ho già espressa nei miei pensieri “post olimpici” nella nota di ieri. Torno sull’argomento, con piacere, per sottolineare come tale esperienza non debba necessariamente essere il modello da seguire e che non bisogna farci prendere dalla presunzione di pensare che l’autismo sia unico e che tale avventura possa essere generalizzabile a tutti. Riguarda semplicemente delle buone prassi di un percorso che testimonia che con una organizzazione valida volendo si “può fare”.
Organizzazione che deve coinvolgere il contesto sociale e sanitario abituato troppo spesso a liquidare certe problematiche con farmaci o psicoterapie intensive.
La mia idea sull’autismo, o almeno su una parte dello spettro autistico, è che sia una “condizione” più che una malattia e che una demedicalizzazione pensata e supportata dal contesto ambientale possa realmente essere molto più utile di tanti ricoveri ospedalieri. Luigi Mazzone
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“Il progetto Rio 2016 è un’iniziativa dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù in collaborazione con Accademia Scherma Lia e Progetto Aita Onlus. Gli otto ragazzi volati in Brasile sono infatti seguiti – sia durante l’anno sia durante quest’avventura – dalla Neuropsichiatria infantile dell’Ospedale e frequentano l’Accademia dove sono stati avviati alla pratica della scherma”. |