La città adotta i #teppautistici, con il progetto Pass. Che però chiude
Una mamma, un bambino #teppaustistico e un progetto che prova ad “adottarli”. Ma che ora rischia di morire. Dopo essere stato anche immortalato in un film, “La città adattabile“, di Giuseppe Mastrocinque e Stefano Moffa. il video è stato proiettato in anteprima a Napoli, il 2 aprile. Protagonisti Elvira Sartori e il figlio Checco. Intorno Napoli, il Vomero, l’Arenella, dove la città prova ad essere, appunto, “adattabile”. Come? Con un modello d’intervento che si chiama “pass”, che pare funzionare. E che ora pare rischi di morire.
Cos’è Pass?
E’ una forma di ADOZIONE. Il bimbo o il ragazzo #teppautistico vengono infatti “adottati”: dalla scuola e dalla società. Come? Con un’assistenza che avviene nei luoghi di residenza, nelle strade e nei negozi, dove questi ragazzi vengono aiutati ad orientarsi a fare “da soli”, ma con un SOSTEGNO DIFFUSO. Perché è così che la città si adatta: rendendosi più familiare e meno ostile, più accogliente e più sicura. Ma come?? Attraverso una rete di rapporti che viene tessuta tra i genitori, innanzitutto, e i commercianti, che vengono stimolati ed accompagnati a creare un servizio “adattabile”, appunto, ai #teppautistici di ogni età.
Da questa esperienza, a quanto pare molto positiva, è nato uno spazio che si chiama “Social club”, messo a disposizione dalla Asl di Napoli, che però oggi rischia di chiudere. Sul quotidiano Il Mattino, nel blog “Prontosoccorso”, Maria Pirro ha pubblicato una sintesi di questa storia e la lettera che il comitato di genitori Napoli per l’Autismo ha scritto, lanciando una petizione che ha già raccolto 114 firma. Portavoce è Claudia Milone, mamma di un piccolo #teppautistico di 5 anni che, come tanti genitori, teme che perdendo questo spazio, si perdano anche tanti progressi e tante conquiste.
La lettera
Mi chiamo Claudia Milone, sono la mamma di un bimbo di 5 anni, e vi scrivo a nome del comitato dei genitori Napoli per l’Autismo che ha raccolto 114 firme in calce a questa lettera appello. Da anni, come genitori di bambini speciali, combattiamo nei quartieri Vomero e Arenella una battaglia di revisione culturale sulla disabilità intellettiva, sostenuti dall’Asl Napoli 1 Centro – e in particolare dalla Neuropsichiatria Infantile, attraverso il proprio personale sanitario – per migliorare la qualità della vita dei nostri figli e delle famiglie tutte. Indubbiamente, il momento più significativo è stato l’inaugurazione del “Social Club” di via Morghen 84: un appartamento messo a disposizione dall’azienda sanitaria affinché i circa 100 ragazzi autistici della zona vi trovassero un punto di partenza per intraprendere, con l’assistenza di operatori specializzati, percorsi di autonomia. Una vera rivoluzione, di cui l’Istituzione si è fatta pioniera: la disabilità ha cessato, finalmente, di essere unicamente “riabilitata” per venire abilitata a una diversa normalità. Il Social Club è divenuto il luogo in cui abbiamo cominciato a riunirci e a progettare il futuro di bambini e ragazzi.
Poi è successo l’imprevedibile. Da un giorno all’altro, il simbolo e l’obiettivo insieme di tutti i nostri sforzi ci è stato tolto perché, in forza di un provvedimento del direttore del distretto sanitario 27, in quegli stessi locali devono essere trasferiti gli ambulatori della neuropsichiatria infantile.
Ci chiediamo quali gravi necessità possono giustificare una decisione così penalizzante per bambini e ragazzi disabili e per le loro famiglie (centinaia di persone!). Pensiamo, tuttavia, che queste esigenze potrebbero e dovrebbero essere riviste e contemperate con la nostra. Non sarà sfuggito al direttore che con un colpo di spugna ha vanificato il senso delle battaglie che ostinatamente e pervicacemente portiamo avanti da anni.
I locali di via Morghen 84 non sono idonei a un uso promiscuo: se devono ospitare gli ambulatori, non possono essere adoperati per le finalità del Social, e questo non perché non vogliamo ma semplicemente perché, da oggi, non si può. Dunque, dovremo rinunciare al Social Club, ad un progetto di vita per i nostri figli e per noi familiari. Dobbiamo tornare indietro, piegarci nuovamente all’idea della disabilità finalizzata alla sola riabilitazione e mai alla inclusione sociale. Isolando la Neuropsichiatria infantile dagli altri contesti ambulatoriali, la scelta, di fatto, si potrebbe tradurre in un ritorno al passato, con il distacco dei malati dalle persone e viceversa. Ma, a parer nostro, la cosa più grave è che ci siamo visti privati del sostegno della azienda sanitaria. Per anni abbiamo combattuto battaglie fianco a fianco e, in tempi recentissimi, abbiamo festeggiato l’inaugurazione del Social Club.
Oggi quella stessa Azienda sembra, non solo, voler segnare una frattura con le proprie politiche ma, attraverso una decisione, a dire poco insensibile ai progressi che abbiamo conseguito, pare catapultarci all’epoca in cui Basaglia aveva icasticamente segnalato l’irrecuperabilità del malato è spesso implicita nella natura del luogo che lo ospita.