Niente casa popolare per la famiglia di un teppautistico. L'appello della madre
Chi affitterebbe la casa ad una mamma disoccupata con tre figli, di cui uno disabile? La risposta è scontata e chiara anche ad Alessandra Nicolosi, madre di Lorenzo, teppautistico di 6 anni, già sfrattata, in causa con l’Ater di Rieti per poter rimanere nella casa popolare, in cui vive da 3 anni a Montopoli Sabina anche con gli altri due figli, Lorena di 14 e Giulia di quasi 4 anni. E’ vero che l’appartamento lo ha occupato, ma dopo che, pur avendo fatto richiesta ed avendo il punteggio massimo nella graduatoria, se l’è visto negare dagli uffici comunali per motivazioni vaghe e poco attendibili. A novembre il giudice deciderà e Alessandra saprà se dovrà di nuovo rivoluzionare la vita della sua famiglia ed in particolare di Lorenzo, alla ricerca di una casa che non c’è. Si spera in una scelta consapevole di un’amministrazione che voglia realmente pensare al bene dei propri cittadini.
L’anno prossimo Lorenzo, 6 anni, bambino autistico della provincia di Rieti, dovrebbe cominciare le elementari, dopo un lungo e faticoso inserimento nel mondo della scuola. Sarà un cambiamento difficile da affrontare soprattutto se, nello stesso tempo, dovrà subire quello della casa nella quale si è abituato a stare in questi ultimi 3 anni. Per evitare il trauma, sua madre, Alessandra Nicolosi, mamma anche di Lorena e Giulia, ha deciso di rivolgersi a noi per lanciare un appello al sindaco di Montopoli di Sabina e poter rimanere nell’alloggio popolare nel quale vivono.
Nel paese tutti si conoscono, tutti sanno che dopo essersi separata, seppur in maniera serena dal marito camionista, non ha le possibilità per mantenere l’affitto di casa, per questo, ricevuta la diagnosi di Lorenzo, 3 anni fa, le hanno consigliato di fare richiesta per una casa del comune.
“Subito dopo aver avuto la conferma delle mie paure dallo staff del dottor Valeri del Bambin Gesù, mi sono trovata persa. Avevo una bambina appena nata, dovevo capire quali terapie e dove farle fare a Lorenzo e il mio matrimonio è entrato subito in crisi. I soldi non bastavano più per l’affitto, stavamo per superare i 6 mesi di morosità per cui ci avrebbero fatto causa, sono andata quindi all’ufficio del comune per chiedere un alloggio e mi hanno risposto che non c’era nulla e le graduatorie sarebbero uscite a dicembre. Non mi hanno spiegato bene e io non avevo tempo se non per pensare a Lorenzo.”
Pensare a suo figlio per Alessandra ha significato intraprendere un percorso di richieste, preghiere e battaglie per trovare un centro dove lo seguissero. Ha cominciato in una associazione di volontariato, ma solo poche ore a settimana, poi ha ottenuto un posto in un centro a Collevecchio dove faceva solo psicomotricità e impiegava un’ora di viaggio per raggiungerlo. “Dopo aver fatto casino anche sulla stampa locale ho ottenuto che me lo seguisse la neuropsichiatra della ASL ed è cominciato un percorso più chiaro e definito. Ma è stata una lotta che ha impiegato tutte le mie energie tanto che la mia depressione si è aggravata e ancora doveva arrivare il colpo finale.”
Ottenuto il posto per le terapie, Alessandra torna a dedicarsi alla ricerca della casa popolare,le dicono che un appartamento già vuoto da tempo sarebbe finalmente a disposizione perchè il proprietario è morto. “Ho chiamato subito gli uffici: mi hanno risposto che la mia domanda non c’era e che avrei comunque dovuto ripresentarla a giugno. Ma come mi avevano detto che le graduatorie uscivano a dicembre, e poi io la richiesta l’avevo presentata ed ero sotto sfratto con tre bambini di cui uno disabile!”
A questo punto ad Alessandra la soluzione più naturale, anche se consapevole non fosse legale, è sembrata occupare quella che avrebbe dovuto essere la casa che, di diritto, il comune doveva assegnare alla sua famiglia. Sono seguiti giorni difficili: la separazione definitiva dal marito e Lorenzo che finisce due volte al prontosoccorso. “Non dormiva più e hanno dovuto dargli psicofarmaci che ancora prende. Sono cominciate anche le battaglie a scuola per fargli avere il sostegno. Per fortuna dopo 3 anni di materna ho visto dei progressi nel suo linguaggio per questo abbiamo ritardato la prima elementare per farlo arrivare più pronto e per cercare di rendere il cambiamento meno traumatico. Mio marito è andato gradualmente via di casa, stavamo cercando di gestire tutto, non mi aspettavo che, chi avrebbe dovuto aiutarci, si accanisse su di noi”
Il comune non ha voluto riconoscere il caso di massima necessità per la famiglia di Alessandra e ha spinto l’ATER a procedere per vie legali per togliere l’appartamento, come alternativa ha offerto un rimborso di 6 mesi per un affitto. “Tra pensione di invalidità di Lorenzo e alimenti ho un ISEE da 800 euro al mese, chi me l’affitterebbe mai una casa in queste condizioni e poi dopo i 6 mesi come la pago? Il giudice ha provato a proporre al vicesindaco di fare intestare un contratto al comune fino a quando non troveranno una casa popolare per noi. Io di più non mi posso permettere. Però ho paura dei cambiamenti per Lorenzo, anche la neuropsichiatra ha confermato che per lui sono traumatici e l’anno prossimo avrebbe anche quello della scuola. Sono seguita dal CIM della ASL, sanno della mia depressione. Tutto questo non basta per farmi fare il contratto per la casa in cui ci troviamo.”
La legge non prevede ignoranza recita un vecchio adagio su cui sono passate generazioni di occupazioni poi sanate e di assegnazioni a chi non ne aveva alcun diritto e necessità, eppure il sindaco, in questo caso, pare ligio: per non creare un precedente. Certo: chissà quante altre famiglie con figlio autistico, sotto la soglia di povertà potrebbero occupare il patrimonio immobliare di Montopoli! Qualcuno potrebbe mai denunciare l’Ater per questa indebita concessione ad una famiglia disperata?
“Nessuno lo farebbe, non lo hanno fatto nemmeno 15 anni fa quando lasciarono una casa occupata a chi non ne aveva proprio diritto. Ci conosciamo tutti e sanno che io invece ne ho proprio bisogno non solo per Lorenzo, ma anche per i miei altri due figli e per me. Se io sto bene forse stanno meglio anche loro.”
A novembre il giudice si pronuncerà, nell’attesa abbiamo accolto l’appello di una madre che, nonostante le difficoltà, non vuole mollare e spera che per una volta, chi non lo ha ancora fatto, trovi il modo per aiutarla.