La lettera di un padre ad un figlio di 28 anni che non potrà leggerla, nè capirla. Una dichiarazione di amore postata su facebook da chi finora aveva preferito non rendere pubblica la rabbia, l’ansia e la paura. Parole di consapevolezza e di speranza per una condizione nella quale si trovano tanti genitori che sognano di sentirsi chiamati “papà” dai propri figli silenziosi. Totò Cernigliaro, papà di Gianluca, non è un “tonto” come si definisce, ma un padre coraggioso, forse stanco, ma innamorato, che ci ha consentito di pubblicare e condividere le sue emozioni.
Caro Gianluca,
non so di preciso perché ti sto scrivendo questa lettera. Perché una lettera dovrebbe essere indirizzata a qualcuno in grado di leggerla. O, se non sa leggere, che sia capace di farsela leggere e di comprenderne il contenuto. Non è il caso di questa lettera.
Tu, Gianluca, non sai leggere. Non parli. Hai quasi ventotto anni, tra pochi giorni è il tuo compleanno, e alcuna autonomia. Sei un portatore di handicap psichico, dicono. I tuoi bisogni fisici sono quelli essenziali di qualunque essere vivente: nutrirsi, riposare, sentirsi pulito, e poco altro di utile al tuo fragile corpo. Tutte cose che da solo non riesci a fare.
Però, per fortuna, c’è dell’altro. Ci sono altri bisogni che non servono tanto a far stare bene il corpo quanto a nutrire l’anima: amare ed essere amato, giocare, ascoltare la musica, viaggiare, andare a mare, ridere.
L’ho capito da non molto tempo, anzi, me lo hai fatto capire tu che la tua anima non è malata. Che la tua intelligenza è probabilmente superiore a quella delle persone “normali” perché hai dovuto trovare il modo per superare i limiti imposti dal tuo corpo. Tu non hai potuto fare il “copia e incolla”, cioè apprendere per imitazione. Tu, al contrario, hai dovuto trovare un modo unico per farci capire qualunque tuo bisogno. Che sia la voglia di uscire o di ascoltare una canzone o ancora la voglia di ridere e di giocare. E questo, nonostante un cervello e un corpo imbottito di psicofarmaci necessari per controllare le crisi epilettiche.
E lo so. Non deve essere stato facile. Anche perché ti è toccato un padre assai tonto. Chissà quale sforzo e quante volte avrai pensato: “guarda questo quanto è cretino…”. Già, chissà.
Per anni ho sperato che un giorno mi avresti chiamato “papà”. Che idiota! Tu lo hai sempre fatto. A modo tuo. Lo fai tutte le volte che mi trascini verso l’uscio di casa perché in quel momento mi stai dicendo: “dai papà, usciamo!”. Lo fai quando a tavola mi prendi il braccio, mentre sto mangiando, perché vuoi dirmi: “papà, ho ancora fame!”. Lo fai ogni sera, sdraiato accanto a me sul divano, mentre io guardo la tv o sto davanti al pc, dandomi pedate nella pancia per dirmi: “papà, guarda che ci sono anch’io!” E ancora, prima di andare a letto, quando ti fermi in piedi aspettando il pipiripì e con quel comportamento vuoi dirmi: “papà, fammi ridere ancora prima di portarmi a nanna…”.
E di certo avrai anche capito che il mondo dei “normali” è pieno di stronzi. Che, a parte qualche eccezione, possiamo collocare in due grandi gruppi.
Il primo è quello dei porci. I porci sono quelli che sembrano non accorgersi della tua presenza o fanno finta di non vederti. Che quando arrivano o vanno via salutano tutti tranne te. Come se tu non fossi presente, come se tu non esistessi. Il secondo, invece, è quello dei coglioni mistici. Questi altri li riconosciamo subito dall’occhio pietoso, è vero?, e sono quelli che tirano fuori frasi tipo… “che croce che Dio vi ha dato…” oppure “Dio vi ha scelto per mettervi alla prova” o, altre bestialità del genere. Che meno male che sono agnostico. Altrimenti dovrei credere che il “buon Dio” sia, piuttosto, un grandissimo bastardo. Poi, non è detto… e magari mi sbaglio e “il giorno che sarà” mi troverò davanti un Dio e, allora, che si metta comodo, cazzo!, perché avrà molto, ma proprio molto da spiegarmi.
Ma tu te ne freghi di ogni convenzione. Tu mi hai insegnato qual è il senso più profondo della vita, quella al netto di tutte le sovrastrutture mentali che gli uomini si sono inventati. Una vita con un solo scopo: essere vissuta al meglio delle condizioni date. Senza malvagità. Senza buonismo. Una vita in cui il tempo è circolare, come nella vita di tutti gli altri esseri viventi. Che non si chiedono il perché delle cose, le fanno e basta. Forse è per questo, Gianluca mio, che sei così insofferente a qualsiasi rimprovero. Fai quello che vuoi e puoi. Punto.
Presto o tardi, non so, arriverà il giorno in cui non potrò più farti ridere con il pipiripì, e tu, com’è giusto che sia, non ti chiederai perché, né dove sono finito. E mi consola che sarà così. Io, invece, me ne sarò andato con i miei molti errori e i tanti rimpianti. Forse, troppi per una sola vita. E speriamo che vada a finire proprio così…
Ma oggi è domenica, anima mia bella, ed è ora della solita passeggiata.
Non c’è più tempo per chiacchiere inutili. Si esce.
TOTÒ CERNIGLIARO·DOMENICA 13 NOVEMBRE 2016 |