Orgoglio autistico
Di autismo non si guarisce. Non c’è pillola, né terapia comportamentale in grado di azzerarlo, farlo sparire, disintegrarlo in miriadi di pezzetti inutili. Bisogna accettare questo assioma e considerare la persona autistica non come un disabile – e con questo termine si insinua l’idea che abbia qualcosa di meno – ma come un appartenente a una minoranza alla stregua di rom, immigrati, omosessuali che siamo pronti a comprendere perché convinti della pluralità delle esistenze e per i quali siamo pronti a batterci perché abbiano garantiti i diritti fondamentali.
La dimensione autismo è una dimensione altra rispetto al normale. È una dimensione spazio-tempo, e non nello spazio e nel tempo. Essere nello spazio-tempo significa non percepirsi come identità precisa rispetto all’altro e, di conseguenza, non percepire neanche l’altro. Su questo si può lavorare perché il nostro modo di rappresentare ciò che ci circonda possa trovare dei punti di contatto con quello della persona autistica. Non dobbiamo imporre, né tantomeno cancellare l’altra prospettiva.
Spesso si parla di curare o correggere i comportamenti problema senza capire cosa li abbia determinati. Si cerca di modificarli, riformarli , sistemarli perché disturbanti, strani, diversi. I primi a fare questo sono i genitori perché vivere ai margini della società è una situazione difficile da sopportare. I recenti casi di omicidio del figlio autistico da parte del genitore anziano, oltre che disperato, è il triste epilogo di una considerazione errata della situazione.
Forse la corsa degli ultimi tempi alla certificazione ha in parte penalizzato le persone autistiche. Da un lato la diagnosi consente di attuare strategie per comunicare, dall’altro li relega nel gruppo del handicap, chiudendo la gabbia e buttando la chiave. Credo che invece sarebbe giusto, rivoluzionario, parlare di orgoglio autismo perché questa espressione conferirebbe loro dignità e li toglierebbe dalla schiera dei rifiutati.
L’autismo, come modo di essere, segue le stesse tappe di crescita della persona: infanzia, adolescenza, giovinezza, età adulta e non si tira indietro davanti a tutte le contraddizioni che caratterizzano questi stadi. Perciò è possibile essere risucchiati nel vortice delle lotte per l’affermazione dell’io che vanno dagli scontri verbali, a forme di protesta varia. La differenza è che la persona autistica non riesce a superare facilmente il complesso edipico e diventa preda delle sue stesse paranoie. Anche qui il riaffacciarsi di comportamenti problema inducono i genitori, supportati da medici ignoranti e approssimativi, a sedare con farmaci un’aggressività ingestibile perché costantemente alimentata da risposte che la persona autistica riconosce come non coerenti, addirittura paradossali. È come se in terra straniera non venissimo compresi nelle nostre necessità: ci sarebbe di che essere arrabbiati!
La diagnosi di autismo annulla ogni analisi di quello che accade come se la persona fosse un alieno, un’entità totalmente diversa dall’essere umano. L’autismo non va curato ma capito, accolto e posto nelle migliori condizioni per vivere nella società e sentirsi felice.