Buco Nero

I furbetti della 104 la fanno sempre franca

impiegatiAridanghete, arieccoli i famigerati furbetti della 104. Ogni tanto escono fuori dal cappello degli strombazzatori mediatici, vengono sbattuti in prima pagina e messi alla gogna per le loro ruberie all’erario. Questi lavoratori che, a detta dei colleghi invidiosi, sono nati con la camicia perché in possesso della famigerata 104 approfitterebbero fuori misura del loro “privilegio” per inannellare giorni di vacanza (regolarmente retribuiti) in più, fingendo di doverli passare ad accudire un familiare disabile o gravemente malato.

La legge 104 consente, infatti, ai lavoratori di godere di permessi (in numero di tre giorni al mese) se si è disabili o con familiari stretti gravemente malati. Inoltre c’è la possibilità di usufruire di lunghe assenze nell’ordine di due anni. Come ha scritto due giorni fa “Repubblica” ben il 13% dei dipendenti pubblici e il 3,3% nel settore privato sono in possesso di 104. E tanti, anzi troppi sono gli “imboscati”, i finti inabili e coloro che millantano pseudo-assistenze a parenti disabili “tarocchi” o comunque in grado di potersi barcamenare da soli. In tanti se ne approfittano, si legge ancora,  a causa dell’Inps che sarebbe di manica larga a concedere certitificati d’invalidità. E così in pochi anni si sarebbe infatti passati dal 22,5 al 34 per cento di possessori di 104.

Il Calvario per ottenere la 104

In qualità di mamma di figlio autistico anch’io, ad un certo punto, della mia vita professionale sono entrata in possesso della 104. A differenza dei furbetti di cui sopra ci ho messo molto, ho speso tante energie e tempo per poter far parte della “eletta schiera”. File interminabili agli sportelli Inps, al Caf, alla Asl e chi ne ha più ne metta. Ho dovuto produrre innumerevoli certificati medici, dichiarazioni, diagnosi mediche, analisi e test cognitivo-comportamentali per arrivare al gran giorno, quello della visita di mio figlio davanti alla commissione Asl che avrebbe dovuto confermare la sua disabilità al 100 per cento e dunque bollarlo come 104, art.3, comma 3. L’iter delle pratiche è durato nove mesi. La risposta di ok è arrivata dopo tre, quattro mesi. Ne sono passati altrettanti (e forse qualcosa di più) prima di ricevere i primi assegni dall’Inps. Ho fatto tutto quello che c’era da fare ma che fatica. Insomma con la 104 in tasca e un figlio di quasi 13 anni autistico (qualcuno della commissione molto stupito mi chiese: “Signora perché ha aspettato tanto…Come ha fatto fino adesso?”) avrei dovuto prendermi un anno sabbatico dal lavoro. Altro che tre giorni al mese.

Il vantaggio di essere “statale”

Su Repubblica si legge anche che i dipendenti pubblici sono quelli che se ne approfittano di più. Forse perchè agganciano spudoratamente alle ferie i giorni di 104 e in generale si comportano da incalliti assenteisti e menefreghisti senza scrupoli ecc. I dipendenti privati, invece, sarebbero più morigerati perché temono di perdere il posto avendo, rispetto agli statali, meno potere contrattuale. Addirittura pur avendone diritto non farebbero recapitare al datore di lavoro la lettera che attesta la 104. Credo che sia vero. E questo non è giusto. In un ambiente di lavoro claustrofobico dove le assenze non passano inosservate c’è più insofferenza per il collega che può godere della 104 anche se non è politicamente corretto criticarlo apertamente. Spesso le assenze improvvise e non concordate si traducono in più lavoro per chi resta. I centoquattristi sono considerati rogne pure dai datori di lavoro. Insomma la regola generale è la seguente: meglio non esagerare con la 104, servirsene con moderazione, evitando di prenderla durante i periodi di ferie di massa. Guai a sgarrare.

L’onestà è un piacere ma non paga

Io faccio parte di quelli che hanno sempre preso i giorni di 104 quando serviva realmente. Per cui certi mesi non li prendevo affatto. Col senno del poi penso che sia stata stupida. Avrei dovuto essere più furbetta. Essermi comportata civilmente, rispettando la legge e i colleghi di lavoro non mi ha dato alcun merito. Alla fine l’azienda (perennemente in crisi) è stata liquidata e venduta in scala ridotta a un nuovo proprietario. Dopo aver dato il sangue e aver passato un ultimo anno di lavoro da incubo (perfino alcuni mesi invernali senza riscaldamento perché era rotto) alla fine sono stata comunque messa alla porta insieme a tanti altri colleghi bravi, onesti e altrettanto corretti sul piano professionale.

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