Speziale: dopo la scuola il nulla. Durante la scuola non si costruisce un progetto di vita
Abbiamo fatto un quadro riassuntivo di quello che a tutt’oggi dice la normativa riguardo la possibilità di “fermare” a scuola per qualche anno in più i nostri ragazzi autistici. Per molti di loro non sono anni di solo parcheggio, ma è comunque un’ occasione per cercare il più possibile di usare al meglio gli strumenti di socializzazione che comunque la scuola permette. Interrompere la routine scolastica è comunque un dramma, anche per la famiglia che nella maggior parte dei casi non ha alternative dignitose per i ragazzi. In altri paesi d’ europa fino a 24 anni è possibile essere accolti a scuola, in Italia la tendenza generale è alleggerirsi se possibile di un peso notevole. Chiunque comunque alla richiesta di fermare ancora un anno il proprio figlio si sentisse dire “che non lo permette la legge” legga con attenzione il nostro articolo, che analizza nei particolari questo punto assieme al legale dell’Anffas.
AUTISTICI A SCUOLA ANCHE A 20 ANNI. FACCIAMO CHIAREZZA NORME ALLA MANO
E’ pur vero che a scuola deve restare scuola, non può diventare un “deposito”, o un “rifugio” per chi non ha un altro posto in cui stare. Parla chiaro, Roberto Speziale, che prima di essere presidente di Anffas, è papà di Valerio, un ragazzo con disabilità intellettiva che inizia ad essere adulto. E che proprio l’anno scorso è uscito dal percorso scolastico. “Valerio ha 20 anni: ha lasciato un luogo in cui viveva giornate intense e piene di stimoli per ritrovarsi chiuso in casa, a passare le ore davanti al computer”.
E’ questo il nodo della questione, secondo Speziale, quando si parla di prolungamento della permanenza a scuola per gli studenti con disabilità intellettiva o autismo. Il nodo è nello scarto, l’enorme tra ciò che la norma elegantemente prevede e prescrive e ciò che la realtà crudamente propone e impone. Ecco come affronta la questione Speziale, muovendosi appunto sul filo tra teoria e pratica. La prima cosa “da inventare” è una scuola diversa, che sia “buona” davvero, perché capace di accompagnare questi ragazzi verso un progetto di vita. Di qui il forte impegno di Speziale, stavolta in qualità di presidente di Anffas, nel pensare una riforma della scuola che migliori l’inclusione. E non la peggiori, come rischiano di fare i decreti attuativi finora approvati al Consiglio dei ministri.
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Uscendo da scuola, mio figlio ha lasciato un contesto che ha garantito per anni a lui un luogo sicuro e a noi genitori un po’ di sollievo, per trovarsi nel nulla. E’ allora naturale che esista la possibilità e il desiderio di prolungare la permanenza in questo contesto, per i ragazzi con disabilità intellettiva. Ma questa componente non deve diventare patologia. L’attuale ordinamento prevede diverse modalità, tramite circolari ecc, per far fronte al fatto che lo sviluppo intellettivo e anagrafico delle persone con disabilità intellettive e del neurosviluppo non coincida con lo sviluppo dell’età. Insomma, è probabile che un ragazzo abbia 10 anni, ma uno sviluppo pari a quello di un bambino di 7. Bisogna quindi valutare, ma solo esclusivamente all’interno degli organi a ciò deputati, se sia opportuno, per quel singolo alunno, far ripetere un anno, affinché acquisisca ulteriori competenze e autonomie.
E questa necessità è particolarmente forte alla fine del percorso, quindi prima dell’esame di Stato.
A tal proposito, è consentito per legge e anche molto opportuno far fermare lo studente disabile per qualche anno in diverse classi, perché possa poi affrontare meglio il momento della verifica. Ma questo deve essere fatto con dei limiti: nella scuola superiore non si deve andare oltre i 21 anni. La condizione, però, prevista chiaramente dalla normativa, è che si avvii il percorso di uscita dalla scuola, tramite l’alternanza scuola-lavoro e altre esperienze formative. Queste sono le disposizioni ministeriali, chiaramente scritte. Poi c’è la realtà, che è molto diversa.
Cos’è infatti la scuola, per uno studente con disabilità intellettiva?
Nella pratica la scuola diventa un luogo improbabile, senza alcun percorso di inclusione scolastica vera, in cui le bocciature fanno spesso comodo anche alla stessa scuola, magari per tenersi posto di sostegno. E sono, le bocciature, l’unica possibilità per le famiglie, che dopo l’uscita dal percorso scolastico non vedono alcuna possibilità per il proprio figlio. Valerio è uscito con un attestato, voto 96 su 100. Non abbiamo trovato alcun contesto adatto ad accoglierlo, nonostante il nostro impegno. Allora pensiamo che, se avesse frequentato la scuola ancora per uno o più anni, almeno averebbe potenziato ancora le sue autonomie. Ma la patologia è proprio qui: che dopo la scuola non ci sia nulla. E che durante la scuola, non si faccia niente per costruire un progetto di vita. La patologia è in alcune scuole siciliane, in cui abbiamo trovato studenti disabili di 27 anni.
Il problema insomma esiste, è pesante e va risolto alla radice.
Abbiamo iscritto Valerio all’ufficio del Lavoro, nella lista per la legge 68: ci siamo accorti che è del tutto inutile, perché non esiste un sistema che consenta di fatto alle persone iscritte di entrare nel mondo del lavoro. Ci dovremo inventare qualcosa. Come Anffas e come Fish, abbiamo proposto 43 emendamenti, che hanno proprio l’obiettivo di migliorare l ‘inclusione, sopratutto come strumento di avviamento di un progetto di vita. Continuiamo a lavorare: con le commissioni e il ministero si è aperta una buona interlocuzione. Non posso dire di essere ottimista, ma cerco di essere almeno fiducioso.