A canestro per vincere e non per terapia. In campo con la Smit Roma.
Fare pallacanestro in una società sportiva iscritta a campionati regionali e nazionali: allenarsi senza sconti, giocare le partite e partecipare alle trasferte per i tornei, senza genitori. 14 ragazzi con disabilità intellettive tra i 18 e i 30 anni, sono ormai una squadra a tutti gli effetti: la Smit Roma ragazzi speciali. In un video il racconto dell’impegno che, insieme ai loro allenatori Roberto Baiani, Roberta Manieri ed Elena Russo, li porta in campo.
Stare insieme, ognuno con un proprio ruolo riconosciuto, per raggiungere un obiettivo comune. Le tre caratteristiche che definiscono un gruppo sportivo costituiscono traguardi difficili per i nostri teppautistici, ma in una palestra di Monteverde, a Roma, rappresentano il normale allenamento settimanale della Smit Roma, ragazzi speciali.
Realtà storica della Capitale, oltre 40 anni di attività a Trastevere, 5 squadre maschili e 4 femminili, dal 2010 la Smit ne ha aggiunta anche una voluta e seguita da Roberto Baiani e Roberta Manieri per accogliere e far allenare ragazzi con disabilità. Per ora se ne sono iscritti 28, divisi in due corsi, 14 di loro sono ormai una squadra. Affiliati a Special Olympics, ogni anno partecipano agli eventi sia regionali, sia nazionali.
“Ci sono diverse società che fanno sport per ragazzi disabili, ma tendono ad essere nascoste. Venivamo da esperienze di volontariato in altre strutture e abbiamo scelto una società che allena squadre di ragazzi cosiddetti normali per poter creare la nostra speciale.”
Roberto è l’allenatore, riconosciuto e rispettato nel suo ruolo dai suoi giocatori. Una storia alle spalle come scout, da sette anni guida insieme a Roberta la squadra in casa e in trasferta.
“ Abbiamo voluto provare e la Smit Roma ci ha accolti. Allenare i ragazzi con disabilità è molto più semplice di quello che sembra: bisogna avere un approccio naturale, provare ad avere lo stesso comportamento che si ha con gli altri. Si va in trasferta senza genitori e lo abbiamo fatto anche con loro. Ci sono stati momenti difficili, ma siamo riusciti a superarli. Durante una partita uno di loro, sotto stress, ha dato uno schiaffo ad un compagno. Io sono intervenuto per dividerli e mi hanno “ciancicato” un dito, però poi siamo rimasti da soli in campo e si sono calmati. Da quel momento è aumentata la fiducia nei miei confronti. “
Nessuna semplificazione o racconto edulcorato della realtà: c’è un gruppo di ragazzi più gravi, gestiti con un rapporto uno ad uno, con i quali il lavoro è più lungo e complesso, ma per Giacomo, Salvatore, Valerio, Giorgio, Alessandro, Charlie e gli altri un traguardo importante è già stato raggiunto: sono una squadra.
“E’ la soddisfazione più grande. L’anno scorso, dopo un incontro, una ragazza se l’è presa con uno dei nostri che subito è stato difeso da un compagno. “Ehi smorfiosa lascialo stare!”. Ricordo ancora la frase perchè ha segnato per me la conferma di aver creato un gruppo. All’inizio gli allenamenti erano percorsi individuali ora giocano insieme. Sanno cosa vuol dire stare in campo, vincere e perdere.”
Un lavoro lungo, senza operatori o strutture speciali a coadiuvarlo, cominciato come una sfida che ora si è deciso di far conoscere con un video nel quale, sempre in maniera naturale, si chiede direttamente ai ragazzi cosa vuol dire per loro giocare a pallacanestro.
“Volevamo far sapere che ci siamo, finora abbiamo contato sul passaparola ma è giusto dare visibilità soprattutto all’impegno dei nostri atleti che cresce. Per questo da poco collabora con noi anche un’altra allenatrice che è psicologa, Elena Russo; abbiamo arruolato come volontari dei ragazzi scout che hanno stoffa e siglato un accordo con un istituto pedagogico grazie al quale 12 studenti svolgono qui il loro percorso di alternanza scuola lavoro. Noi non facciamo sport per disabili, noi siamo una società storica che al suo interno ha una squadra con ragazzi speciali che giocano e pure tanto. Parteciperemo a breve ad un torneo del centro sud e a giugno saremo di nuovo a La Spezia per i giochi nazionali.”
Ad agosto del 2015 il capitano della squadra, Charlie, è stato convocato con la rappresentativa italiana, per partecipare ai giochi mondiali di Pallacanestro Special Olympics che si sono svolti negli Stati Uniti, ma, altro leader riconosciuto, anche nelle dichiarazioni di chi è stato intervistato, è Giacomo: nelle immagini inanella canestri da campione.
“Mio figlio è alto due metri, da sempre tutti mi dicevano perchè non gli fai fare basket? Non è stato facile trovare chi glielo facesse praticare. Per tanti anni ha giocato nella Stella azzurra, si allenava con la squadra che poi ha vinto lo scudetto, ma è diventato troppo grande e allora ho trovato questa bella opportunità della Smit e da 5 anni siamo felici di essere qui.“
Walter Tonietti è il papà di Giacomo, autistico non verbale di 26 anni, non nega le difficoltà quotidiane per suo figlio, ma lo conforta che almeno, ogni settimana, per due ore possa stare con gli altri in campo.
“ Non tutti hanno accolto Giacomo e non tutti reagiscono con serenità quando glielo presentano. Qui, invece, non si dice no a nessuno e i risultati si vedono. Prima i ragazzi non si conoscevano, ora si cercano, si passano la palla, giocano a basket e fanno canestro. Giacomo può diventare suscettibile, avere momenti di crisi, eppure è andato in trasferta: 9 ragazzi con tre allenatori e sono riusciti a gestirlo. Noi genitori ci siamo rotti le scatole della parola terapia abbinata ad ogni attività che fanno i nostri figli: alla Smit fanno sport e i risultati dipendono dalla capacità di Roberto di interagire con loro come allenatore non come operatore. Quando arriva cominciano subito a correre e a fare gli esercizi.”
Alla Smit lo sport non si fa per terapia, ma lo diventa per tutti, per chi lo pratica e per chi allena.
“Ho passato momenti difficili e stare con i ragazzi mi ha aiutato – conclude Roberto – Sono una persona in movimento, con loro ammetto di aver ricevuto più di quanto ho dato. Ho pianto durante una loro premiazione, penso non mi sia mai successo”