Per nostro figlio autistico abbiamo fatto tutto noi, ora chiediamo aiuto
Lavoro lasciato, tempo libero dimenticato, paure triplicate, amici persi, chilometri percorsi tanti, soldi spesi molti, risultati ottenuti diversi, aiuto dalle istituzioni quasi nessuno, pazienza finita. La vita di Monica, Andrea e del loro figlio autistico Nicolas potrebbe essere racchiusa in questa fredda sintesi. Mancano però le emozioni, la forza, l’angoscia, la rabbia e la speranza che caratterizzano la storia di una famiglia che, come tante, si è trovata sola a gestire la voglia di non arrendersi, per far crescere nel miglior modo possibile un bambino che, dai 3 anni in poi, non ha più comunicato ed è diventato un ragazzo che manifesta le sue ansie con attacchi di violenza e autolesionismo. Alla vigilia dell’ennesimo incontro con le isituzioni che finora per loro non hanno fatto quasi nulla, Monica e Andrea vogliono lanciare il loro appello per chiedere di avere almeno un segnale di presenza in un percorso faticoso e solitario.
E’ aprile del 2016 quando Monica, libera professionista friulana, mamma di Nicolas autistico oggi di quasi 17 anni, decide di uscire allo scoperto e far pubblicare la sua storia sul settimanale femminile F. Il titolo dell’articolo riportato in copertina è forte “Per 16 anni ho vissuto agli arresti domiciliari, la mia unica colpa? Avere un figlio autistico”. Alla giornalista Francesca Galeazzi, racconta degli anni difficili dopo la diagnosi e soprattutto della solitudine nella quale con il marito Andrea hanno dovuto gestire il percorso di terapie e scolastico del loro figlio, con una presenza, che si è rivelata più spesso assenza se non ostacolo, delle istituzioni. La chiusura del pezzo è amara: annuncia un altro incontro con la ASL per cercare di arrivare alla convenzione con l’unica struttura nella quale Nicolas ha fatto progressi reali, ma le speranze sembrano poche in un conclusivo “e’ estenuante far capire quanto abbiamo bisogno di aiuto.”
A distanza di quasi un anno da quello sfogo che voleva essere un monito alle istituzioni e anche un richiamo per aiutare altre famiglie ad uscire allo scoperto, purtroppo ancora non è arrivata alcuna risposta.
“Dopo l’articolo mi hanno chiamato dalla Rai, ma io non voglio andare in televisione, ho troppi problemi da risolvere, però credo che la nostra storia non possa rimanere in silenzio. Noi siamo stati abbandonati da chi aveva il dovere di aiutarci e ci siamo fatti carico di tutto per supportare nel miglior modo possibile nostro figlio. Lo avremmo fatto comunque, ma per fortuna siamo stati accorti nel risparmiare e costruirci una piccola rendita per potercelo permettere, ma se non avessimo avuto le possibilità, cosa sarebbe stato di Nicolas?”
Non è solo una domanda quella di Monica ma quasi una certezza che se non si fossero occupati loro di trovare le soluzioni per consentire a Nicolas di fare terapie, di andare a scuola e ora di essere un ragazzo più sereno che riesce a comunicare, le istituzioni lo avrebbero tenuto in centri simili più a prigioni che a strutture riabilitative.
“Quando abbiamo ricevuto la diagnosi eravamo in Friuli, la Asl ci ha assegnato ad un centro nel quale c’era anche la scuola. Erano anni in cui si sapeva molto poco dell’autismo e a noi sembrava una buona soluzione. Quando però Nicolas è cresciuto, hanno cominciato a lamentarsi che non riuscivano più a gestirlo anche se a casa era più tranquillo. Raggiunti gli 8 anni ci hanno chiesto di portarlo via e lo abbiamo iscritto ad una scuola normale mentre continuavamo a fargli seguire terapie comportamentali e anche ABA, tutto a spese nostre e ad almeno 40/ 50 chilometri da casa. L’unico aiuto concesso era la presenza di un operatore assistenziale 4 ore a settimana, giusto per consentirmi di andare a fare la spesa.”
La vita di Monica, Andrea e Nicolas è caratterizzata dai viaggi in macchina, tanti chilometri per raggiungere i luoghi delle terapie. Ed è purtroppo proprio l’auto, uno dei luoghi nei quali Nicolas manifesta le sue ansie maggiori che diventano crisi forti e incontrollate tanto da imporre ai suoi genitori scelte di vita non a tutti comprensibili.
“Nel 2005 ci siamo avvicinati ai posti dove svolgeva le sue terapie, ci siamo spostati a 12 chilometri dalla nostra Lignano per andare in una casa singola più tranquilla nella provincia di Venezia. Così potevamo fare avanti indietro con le nostre attività e darci il cambio per gestire Nicolas. Purtroppo nel 2011 si è aggravato: ci chiamavano in continuazione da scuola per andarlo a riprendere. Per un po’ ci hanno aiutato i nostri genitori, poi hanno cominciato ad avere paura e siamo rimasti proprio soli. Così ho iniziato a chiudere il mio negozio per lunghi periodi per riuscire a seguirlo. In contemporanea siamo andati alla ASL a chiedere aiuto, qualsiasi: a casa, a scuola, un buon centro dove portarlo. Ci hanno risposto con delle proposte che però per Nicolas non andavano bene.”
Nel 2014 la ASL indirizza i genitori verso una struttura residenziale a Mestre.
“Un lager con le sbarre alle finestre. Pensavo fosse solo una mia suggestione, per cui ho portato anche mio padre che ha commentato “se lo lasci qui ci muore!”. Ho chiesto se c’erano alternative, ma niente. Chiedevo un posto sicuro per Nicolas non una prigione. “
Quando le istituzioni sembra non riescano a trovare soluzioni adeguate, arriva il passaparola di chi ci è già passato, amici ritrovati lungo questa comune tortuosa strada che consigliano a Monica e ad Andrea una struttura. Si ricomincia dalla Casa Gialla a Castelfranco Veneto: 120 chilometri di distanza, non convenzionata ( tra qualche mese è previsto che riesca ad esserlo), tre volte a settimana, per un totale di 2880 chilometri e oltre 1500 euro al mese.
“A settembre ci siamo resi conto che non era più possibile fare il viaggio da soli con lui, dovevamo esserci tutte e due per controllare le sue crisi. Allora ho dovuto lasciare definitivamente il lavoro. A novembre abbiamo anche deciso di prenderci un bed and breakfast fisso dal lunedì al venerdì a Castelfranco per evitarci almeno questa angoscia. Abbiamo aggiunto un’altra spesa. C’è chi si permette di considerarlo un lusso, non sanno cosa significa essere costretti a stare lontani da casa. Non importa però perchè qui finalmente sanno gestire le sue crisi. Non posso dimenticare quando lo lasciai in casa con una operatrice e lo trovai pieno di sangue dopo aver buttato giù una vetrata. Non era certo colpa di chi stava con lui, ma non era in grado di fermarlo. “
Nicolas è un ragazzo molto alto e forte, quando si agita non basta un adulto a fermarlo, se poi la sua ansia non si riesce a controllare le conseguenze possono essere gravi per lui e per chi gli sta intorno. Forse per questo anche a scuola non è andata, si è fermato in seconda media, ed ogni volta che passa davanti all’istituto che frequentava grida. “Anche in questo caso abbiamo chiesto spiegazioni alle insegnanti, ingaggiato una psicologa privata per capire ma nessuno ci ha saputo spiegare cosa fosse successo.”
Le risposte continuano a non arrivare e quelle poche che le istituzioni provano a proporre sembrano peggiorare la situazione, aggiungendo anche giudizi e sensi di colpa su Monica che a questo punto ha deciso di affidarsi a legali per comunicare con la ASL.
“Il Comune continua a dirci che non può darci nulla: spendiamo molti soldi ogni mese per nostro figlio, possibile che non possano darci neanche un piccolo contributo. La ASL invece ci ha proposto un altro centro per sei ore settimanali a 40 chilometri da casa. Volevamo che ci accompagnasse il direttore di Casa Gialla anche per rassicurare Nicolas e fornire le informazioni necessarie. Non hanno voluto che ci fosse e non è venuto ad accoglierlo nemmeno la psicologa. “Domani vieni qui Nicolas, ti piace andare al bar” così hanno cercato di metterlo a proprio agio e lui è andato in ansia, mi ha strappato tutti i capelli. A casa abbiamo dovuto chiamare il 118 per calmarlo. La psicologa della ASL mi ha detto che era stata colpa mia che gli avevo trasmesso la mia ansia perchè non mi piaceva il posto. Da allora ho deciso che non avrei più parlato con loro senza la presenza di un legale.”
Con gli avvocati andranno all’incontro proposto dalla ASL il 24 febbraio dopo che Monica ha scritto anche due mail al presidente Zaia che ha cercato attraverso la segreteria di prendere in carico la situazione.
“Chissà cosa ci diranno questa volta. Ma ti pare una vita questa qui! Andiamo perchè vogliamo ancora sperare che prima o poi ci aiuteranno, si accorgeranno che siamo barricati in casa e soli a gestire tutto quello che riguarda nostro figlio. Ora dopo altre crisi, alla Casa Gialla hanno deciso di tenerlo 8 giorni fisso anche per dare a noi la possibilità di respirare. Io soffro, non so se è un bene, ma quando chiamo mi dicono che è più sereno. Lì si comporta bene. Lo vengono a prendere al bed and breakfast e lo portano al centro dove dovrebbe stare 6 ore invece può rimanere anche 9. Quando è a casa con noi, durante il fine settimana, stiamo cecando di fargli capire che ci sono pure qui delle regole da rispettare. Noi comunque continuiamo a credere in lui.”