Progetti di vita per il Dopo di Noi: da subito prove pratiche di indipendenza
La scorsa settimana abbiamo chiesto a Roberto Speziale, presidente nazionale dell’ANFFAS di aiutarci a stilare una guida per 4 famiglie di ragazzi autistici che vogliono organizzare un progetto per il cosiddetto Dopo di noi. Nei vari passaggi si è delineata la necessità di preparare bene il contesto e soprattutto il progetto di vita. Abbiamo chiesto consigli in merito a Marco Bollani, direttore della cooperativa Come Noi che nella provincia di Pavia ha messo in pratica, prima dell’approvazione della legge 112/2016, modelli di vita indipendente per disabili.
La volontà c’è, la determinazione è forte, spinta anche dall’angoscia per il futuro e c’è pure la legge: le 4 famiglie che vogliono preparare il dopo di noi per i propri figli autistici, possono far partire quanto prima il progetto di vita che proseguirà quando loro non ci saranno più. Cosa devono fare?
“Prima di tutto mettere alla prova i propri figli e se stessi. E’ dalle persone, dalle loro azioni e reazioni che si può costruire un modello di vita indipendente.” Marco Bollani, sa bene di cosa parla, perchè nel 2013 si è trovato con altre nove famiglie a Mortara, in provincia di Pavia, seduto intorno ad un tavolo a capire come creare un modello alternativo a quello proposto dalle istituzioni per organizzare la quotidianità dei propri figli disabili, nel presente e nel futuro. E non c’era ancora la legge.
“La nostra cooperativa fornisce servizi essenziali, ma non poteva darci le risposte di cui avevamo bisogno in quel momento, dovevamo costruirle da soli. Abbiamo cominciato con un lavoro di formazione, andando a vedere quei pochi esempi di residenzialità indipendente che esistevano. Al ritorno dal primo viaggio però, uno di noi, il papà di Luca lanciò un mazzo di chiavi sul tavolo “sono stanco di aspettare, io ci metto la casa.” Ovviamente le reazioni furono diverse: gli operatori della cooperativa e il direttivo dell’ANFFAS si misero giustamente sulla difensiva, mentre noi genitori eravamo in piena fibrillazione. La cooperativa ne fece questione di costi mentre dall’ANFFAS obiettarono che si proponeva un modello solo per disabili di famiglie ricche.”
Un inizio in salita per un esperimento che prima della legge poteva sembrare ancora più ardito, considerando che la risposta naturale per i disabili adulti rimangono ancora i centri diurni o residenziali. Eppure qualcosa a Mortara è accaduto, tanto da far cambiare prima di tutto idea alla cooperativa e al consiglio direttivo dell’ANFFAS e poi a stimolare tantissime famiglie a chiedere di poter essere coinvolte in progetti simili. “ Purtroppo non possiamo ancora rispondere a tutte le richieste, perchè la Regione non ha ancora individuato il contenitore istituzionale quindi al momento tutto si regge sulle spalle dei genitori e dei comuni che decidono di aderire. Ora con la legge speriamo che la situazione cambi, al momento abbiamo 4 progetti: 2 di convivenza a 4 e due mono residenziali ed è partito il percorso per la richiesta alla Regione per l’avvio di un progetto territoriale. La 112 /2016 ha dato ragione al nostro coraggio ed ora siamo presi come riferimento per il Dopo di Noi.”
Per le nostre quattro famiglie si raccolgono quindi suggerimenti da un’esperienza concreta.
Partire dalla pratica
“Prima di tutto consiglio di partire dalle indicazioni che arrivano dalle persone con disabilità, basarsi solo su quello che decidono i genitori o gli operatori continua a creare dipendenza. Inserendo i nostri figli nelle situazioni, anche piccole, di possibile autonomia si può cominciare a valutare di cosa hanno bisogno e se sono pronte. Ci sono genitori che progettano per i figli e mancano i diretti interessati. La prima cosa da fare è coinvolgerli, soprattutto facendo conoscere e frequentare coloro che dovrebbero andare a vivere insieme-.”
Educatori riferimento fondamentale
Rendere indipendenti i figli sin dalla fase progettuale, ma con osservatori speciali.
“Sono fondamentali gli occhi e la presenza degli educatori insieme ai terapisti occupazionali. Così si può fare una prova vera con i dovuti sostegni. C’è bisogno di una buona mediazione educativa e di un’assistenza per le faccende domestiche che preveda però sempre l’intervento dei ragazzi. Si deve evitare l’effetto hotel a 5 stelle che continua a generare dipendenze.”
Il coinvolgimento degli operatori
Senza i genitori, ma non soli, con una rete di protezione.
“I nostri figli sono quasi sempre seguiti in centri o da operatori che custodiscono un sapere fondamentale e devono essere coinvolti anche in questa nuova fase della loro vita. Gli operatori della nostra cooperativa all’inizio erano scettici ora sono i nostri più grandi sostenitori, perchè li abbiamo fatti partecipare come memoria viva dei ragazzi.”
Non è un progetto solo per ricchi
Superate le obiezioni degli operatori rimane quella iniziale dell’ANFFAS: il progetto è rivolto solo a chi ha la possibilità di avere una casa o delle proprietà private?
“Prima di muoversi consiglio di vedere quale tipo di progetti finanziano le Regioni. Noi abbiamo investito nel primo anno 15 mila euro perchè abbiamo chiesto agli operatori e ai genitori di provare tutto a spese nostre, ora ci saranno i fondi previsti per legge, ma un altro sponsor possono essere i comuni. Basta far capire che il contributo di spesa che devono versare per un posto in una comunità alloggio è lo stesso per uno in casetta. Quattro anni fa era difficile per noi perchè non era codificata la nostra soluzione, ora invece è la legge a promuovere case con caratteristiche di civile abitazione. Bisogna convincere anche le ASL del risparmio: un posto in un centro diurno costa oltre i 100 euro giornalieri, nelle casette non ci sono costi, quindi si potrebbe dare un contributo per aiutarci ad aumentare le ore degli operatori e le attività. Comunque i genitori si devono organizzare con un Trust collettivo che serva per sostenere un progetto di vita comunitaria.”
Case non solo di nome ma di fatto, ma cosa accade all’interno? Quali attività prevedere per i figli una volta indipendenti ma sotto la sguardo e con il sostegno degli operatori?
“Nulla di fantascientifico, si deve pensare alla possibilità che i nostri figli vivano giornate serene nella massima naturalezza e semplicità. A Mortara, Silvio uno degli inquilini, sa stirare, va a farlo a casa di una signora anziana del palazzo a cui fa anche compagnia. Lei gli fa il caffè, lui ci mette un’ora a stirarle una camicia e passano del tempo insieme. Stiamo creando anche un orto urbano, ma non si deve ragionare su progetti che chiudano i nostri figli in riserve piuttosto su attività semplici che li facciano stare con gli altri.”
Assaggi di vita
I 4 genitori dei ragazzi autistici a questo punto potrebbero avere le idee più chiare, ma c’è un consiglio in più.
“Suggerisco alle famiglie che si ritrovano intorno ad un tavolo per ragionare sulla futura autonomia dei propri figli di trattenersi oltre la cena e magari fare in modo che i ragazzi dormano insieme con un operatore per la prima volta in uno spazio diverso da quello conosciuto. Io li chiamo Assaggi di vita. Partire dall’informalità, ripeto, fidandosi degli operatori che sono accompagnatori privilegiati”
La parola chiave è quindi PROVA.
“Le persone reagiscono in maniera diversa. Nel nostro caso quando abbiamo visto che dopo due giorni c’era chi non voleva più preparare la valigia per andare via, chi si nascondeva dal pulmino per essere portato indietro, abbiamo capito che l’esperimento poteva funzionare”
Per saperne di più: un convegno
Dall’esperimento si guarda oltre per riuscire a coinvolgere sempre più famiglie e a sfruttare al meglio le opportunità che offre la legge. Il 4 febbraio a Pavia in un convegno organizzato da ANFFAS Lombardia, dalla Fondazione Dopo di Noi dell’ANFASS e da Confcooperative ( ore 9 Collegio S. Caterina da Siena, Via S. Martino,17 ) si discuterà proprio di questo. Significativo il titolo dell’iniziativa “Legge Dopo di Noi dalle parole ai fatti.”
“E’ arrivata l’ora di fare un passaggio successivo, per applicare bene la legge nei suoi primi tre anni, dobbiamo prendere tutti i progetti e collegarli, fare in modo che si possa presentare una istanza alla Regione con un progetto territoriale unico composto da tanti progetti che si tengono per mano. Dobbiamo poi informare le famiglie sui contenuti della legge e dimostrare che si sta offrendo una opportunità in più ai genitori, ma anche alle istituzioni.”
Lo stimolo dai risultati
Intanto alle quattro famiglie, che decidano di rimanere o meno a discutere oltre la cena, si offre la speranza dei buoni risultati di quello che è già stato realizzato.
“I ragazzi del primo nucleo di Mortara, Luca, il proprietario di casa, Vanni, Silvio e Lele sono cresciuti e pronti per una esperienza in più. Silvio al centro diurno che ha continuato a frequentare ha conosciuto Paola è nato un bel legame per cui, convinti i genitori di Paola, andranno a vivere insieme in un’altra casa con loro ci sarà anche Lele con Raffaella per una nuova esperienza di vita tra due coppie. Luca resterà il capo progetto nella sua casa nella quale arriveranno 3 ragazzi down con meno di 30 anni per un provare ancora.”
Per finire: niente calendario delle visite
Ultimo consiglio dall’esperto: una volta avviati i figli verso una vita indipendente bisogna telefonare prima di andarli a trovare.
“Se si fa un calendario delle visite, non è più una casa ma un servizio ( fatto salvo che i servizi servono perché possono garantire opportunità come quelle raccontate finora): prima di andare a trovare i vostri figli quindi chiamate e mettetevi d’accordo con gli operatori eventualmente. Non date per scontato che siano sempre lì ad aspettarvi, anzi sperate nel contrario.”