Un 8 marzo dedicato a Sabrina che amava l'arte e la vita
La sera dell’8 marzo in cui le donne (fosse vero!) scorrazzano al grido di “Riprendiamoci la città” saltellando da un happy hour a una pizza per finire poi davanti a uno spogliarello (ohibò) maschile, voglio ricordare una donna eccezionale Sabrina Magnolfi di 44 anni, che a Firenze pochi giorni fa è stata uccisa con un colpo di fucile dal suo anziano papà. L’uomo ha poi sparato alla moglie e quindi si è suicidato. Guerrando, 84 anni, non reggeva più lo stress di vivere con una figlia disabile. Anche lui era angosciato dal “dopo di noi” dal fatto che quella figlia sarebbe un giorno rimasta sola. “Non ce la facciamo più” ha scritto in un biglietto per giustificare il suo gesto.
TROPPI GENITORI DISPERATI PER IL DOPO DI NOI
E’ triste dirlo ma questo tipo di notizie ormai non fa più clamore. Lì per lì si rimane sconcertati poi subentra una sorta di pietismo rassegnato e ben presto non se ne parla più. Troppi casi simili si accavallano in quest’Italia dove tantissimi sono i disabili totalmente a carico dei genitori.
Solo che Sabrina “la disabile uccisa dal padre” non voleva affatto morire. Lei amava la vita anche se combatteva fin dalla nascita con una tetraparesi che ultimamente la costringeva a muoversi sulla sedia a rotelle. Finora aveva sempre vinto lei. Forte, determinata e coraggiosa affrontava la malattia e gli ostacoli come una guerriera. Le sue armi erano la voglia di fare, l’amore per la gente, per la pittura, per il suo lavoro. Eh già perché Sabrina faceva l’impiegata in un ufficio al Quartiere 5 (una delle circoscrizioni del Comune di Firenze). Ogni mattina il mezzo dei servizi sociali veniva a prenderla e la portava li. I colleghi e gli amici la ricordano come una persona “solare” sempre sorridente e affabile. Sabrina faceva la rassegna stampa per il presidente, poi trascriveva atti e documenti sul pc gestiva la segreteria e con lo stipendio manteneva pure gli anziani genitori.
UNA GUERRIERA CON IL CUORE DI ARTISTA
Ma non c’era solo il lavoro. Un altro punto fermo della sua vita era il Laboratorio di Pittura della Comunità di Sant’Egidio. E poi gli amici dell’Unitalsi, della cooperativa Barbieri della parrocchia e anche della Casa del Popolo. Il Laboratorio era per Sabrina il luogo dell’incontro con gli altri – i disabili, i volontari, gli amanti della pittura – del dibattito, della creatività, della fede. Sabrina era una viaggiatrice. Il suo sogno era visitare almeno una volta Parigi e la Terra Santa.
LA CASA DI TUTTI SARA’ REALIZZATA
E poi c’era la passione per la pittura. Anni fa aveva creato un’installazione in cui con cartone scuro stuccato e dipinto componeva un labirinto con una piccola lampada accesa, dalla luce inaspettata sul fondo. Aveva interpretato così la tragedia dell’Olocausto, a partire dall’incontro con Ceija Stojka, una donna rom sopravvissuta da bambina ai lager nazisti di Auschwitz e Ravensbruck. Sabrina l’aveva conosciuta in occasione di un convegno internazionale a Napoli ed era rimasta colpita dalla sua storia, tanto da volerla subito tradurre in un’opera d’arte nonostante la sua disabilità che le impediva di lavorare al meglio con le mani.
Sabrina era un’artista che traeva gli spunti delle sue opere dalle conoscenze dirette, dai rapporti personali e dalle tante amicizie che la circondavano. Stava così bene con gli altri, stava bene nel mondo. Amava gli amici ed era amata da loro. Un altro grande sogno era quello di comprare una casa per tutti: “Ho i soldi, ho chi mi ama, adesso voglio il futuro”. Nel biglietto lasciato dal padre c’è scritto che tutti gli averi e i soldi della figlia devono andare al laboratorio di pittura. I suoi amici ora vogliono realizzare questa casa: “Noi, che tanto l’abbiamo amata e tanto abbiamo ricevuto da lei, vivremo per costruirla”.