Non chiamate "bambini bulli" i vigliacchi che abusavano da quattro anni del piccolo disabile
Il fattaccio orribile accaduto a Giugliano ci impone una riflessione in più, rispetto alle tante che sempre meritano analoghi crimini da branco. La vittima della violenza sessuale che durava da quattro anni era un bambino tredicenne con disabilità psichica. Per quello che leggiamo dalle cronache aveva problemi “lievi”, ma di qualunque ordine siano lo rendevano comunque il più fragile tra i tanti fragili che di solito i vigliacchi, alla stregua degli undici ragazzini minorenni di Giugliano, scelgono per i loro esercizi di eroismo di gruppo.
Le domande che dobbiamo farci sono quelle che difficilmente chi non gestisce in famiglia un ragazzo altrettanto problematico arriva a formulare. Prima domanda: un bambino con problemi di quel genere era in qualche maniera inserito in un percorso abilitativo? Aveva specialisti che lo seguivano e che lavoravano sulla sua disabilità? Se questo avveniva, come dovrebbe accadere in un Paese civile, come è possibile che non si fossero accorti per quattro anni di quello che quel bambino doveva subire?
Non vogliamo azzardare la stessa domanda per quello che riguarda i familiari, in questo momento possiamo solo sentirci partecipi della loro tragedia. E’ mai possibile comunque che siano stati dei “conoscenti” ad avvertire la madre di controllare bene le frequentazioni del figlio? Quanto tempo un bambino così indifeso restava fuori dal controllo di adulti? E se c’erano adulti informati dei fatti, da quali fonti hanno avuto elementi di “sospetto” tali da avvertire la madre? E perché chi sapeva non ha denunciato un crimine che è durato quattro anni?
Non vale la pena di farsi domande sugli aguzzini minorenni, la loro giovane età è per loro una salvaguardia giuridica, ma nulla nel giudizio di chi valuta da semplice essere umano li assolve da un atto deliberato, reiterato in un tempo lunghissimo e di imperdonabile scelleratezza. Nessuno parli ancora di “bullismo” per definire la loro criminale vigliaccata. Non sono bulli. Sono la versione pocket di un diffuso e orgoglioso disprezzo per l’inerme, che nella società degli adulti sembra sempre più diventata la regola.
Ho la presunzione di certezza di poter anticipare il succo delle chiacchiere da bar che, nei giorni a seguire, riempiranno lo stravacco mentale di quanti hanno fatto loro mantra costante della frase “basta con voi buonisti del cazzo”. Frase che paradossalmente io, da sempre abituato a sentirsi definito cinico e scriteriato, sento ripetermi ogni giorno che parlo alla radio, o scrivo. Sono pronto a scommettere che la neurodiversità del ragazzino sarà per molti la vera causa che ha determinato la sua persecuzione. Il disabile mentale è la “vegogna di una comunità” , per questo molte famiglie ancora li tengono nascosti; temono l’ anatema sociale.
Tutti gli altri undici bravi ragazzini di Giugliano proprio per questo abominio culturale, sempre presente anche se apparentemente mascherato, si sono sentiti giustificati per quella “punizione” che infliggevano a quel coetaneo “diverso”. Lo stupro di maschio su maschio è la stessa umiliazione che per regola antichissima i vincitori somministravano al nemico sconfitto. E’ il supplizio sadico dei piccoli guerrieri con lo smartphone brandito, gli aspiranti eroi che oggi si sentono per diritto di stirpe neurotipica “vincenti”, ai danni del bambino di un’altro popolo che va combattuto perché ha “poco cervello” . E poi anche perché qualcuno ha loro fatto capire che si vince facile con chi non può difendersi, ma soprattutto con chi si porta addosso il segno indelebile che lo condanna a essere socialmente perdente sin dalla nascita.
Leggi la cronaca: Orrore a Napoli, undici minorenni violentano un ragazzo disabile.
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