"Autismo…Diamoci una mossa!" Il manifesto di Irene per il 2 aprile
E anche quest’anno ci apprestiamo alla pietosa pantomima della giornata della consapevolezza autistica, una delle numerose in questa Italietta da avanspettacolo di provincia dove l’importante è mettere la bandierina, far vedere che si è presenti, non importa cosa e come si racconta, basta la visibilità di poche ore per non essere da meno degli altri. Allora, poiché è tutta la vita che vado in direzione ostinata e contraria, non per voler fare la pessimista a tutti i costi, ma animata da un sano realismo, mi appunto tutta una serie di cose che riguarda svariate migliaia di famiglie che hanno la sventura di abitare questo Paese.
VACANZE
Una delle cose più insopportabili è la divisione in categorie tra disabilità e disabili, quasi una macabra gara a chi è più bisognoso e meno considerato da uno stato sociale ormai inesistente. Questo è forse uno dei motivi a cui è legata la pessima qualità dei “servizi” perché resta sempre valido il detto che “l’unione fa la forza” e smembrarsi, fare una guerra tra poveri non paga. Dunque, mettere insieme le forze e andare a baccagliare tutti insieme potrebbe forse essere un’idea, fermo restando che poi ognuno ha le sue caratteristiche specifiche, ma ci sono delle situazioni comuni che si potrebbero affrontare insieme. Per esempio, la scandalosa elemosina dei “soggiorni estivi” gestiti dalle ASL. In estate, stagione che dura dal 21 giugno al 21 settembre, i disabili possono fare richiesta per il soggiorno estivo, un periodo di “8 giorni, 7 notti” di solito in una località marina ad almeno 5/6 ore di viaggio dalla residenza abituale. Ciò comporta una riduzione di circa una giornata tra andata e ritorno di un periodo già ridicolmente esiguo. Cosa farà il disabile che non possiede una casa di vacanze di famiglia per il resto dell’estate è un problema che, come sempre, riguarda solo le famiglie. Una domanda in merito l’ho posta via mail all’assessore alle Politiche Sociali del comune di Roma all’indomani della sua elezione. La gentile signora, fresca di nomina, si è affrettata a rispondermi che si sarebbe informata e mi avrebbe fatto sapere. Indovinate un po’? Alle mie reiterate mail di ricordo non è arrivata nessuna risposta e a giorni saremo chiamati per fare la pratica per il prossimo soggiorno. Come nella migliore tradizione, il politico è svanito nel nulla.
LAVORO
Ci sono poi problematiche personali, nel senso che riguardano la nostra persona, noi genitori di disabili. In Italia siamo in parecchi a non avere più un lavoro e di conseguenza una pensione, anche modesta, che ci permetta di affrontare una vecchiaia dignitosa e continuare a fare quello che facciamo da sempre, assistere i nostri figli. Il problema del caregiver, elegante parola anglosassone che tradotta alla lettera potrebbe rispecchiare la locuzione “ciuccio di fatica” o “colui/colei che tira la carretta” , in Italia è in fase embrionale e temo, vista la mia età, che non ne vedrò la fine e forse nemmeno l’inizio (se ci penso è dai tempi del liceo che sento parlare di riforma della scuola e ancora non l’ho vista, perciò se tanto mi dà tanto…). Ogni tanto penso che l’unica soluzione sarebbe anche per me un’invalidità, ma poi riflettendo arrivo alla conclusione che se sono invalida io chi ci pensa a mio figlio? E allora pure questo problema come si risolve? Avevo scritto in tempi non sospetti, cioè prima che la parola “caregiver” comparisse al nostro orizzonte lessicale, una lettera al Presidente della Repubblica chiedendo che a noi genitori in queste condizioni venissero riconosciuti per la pensione gli anni impiegati ad aver cura dei nostri figli (o di altri parenti invalidi). Che ve lo dico a fare, ovviamente nessuna risposta.
DOPO DI NOI
E allora cosa si fa quando in attesa di prendere sonno pensi: “ E se mi prende un colpo? Se domattina non mi sveglio e lui si ritrova da solo, col cane, senza fare colazione e tutto il resto? Quanto tempo passerà prima che qualcuno se ne accorga?” E ancora: “ Avrò il tempo di passare le consegne a qualcuno, di spiegare dove sono i documenti, quali le trafile INPS, le visite mediche, le scadenze da rispettare? Riuscirò a preparare un sostituto di me che si faccia carico delle incombenze? E sarà questa persona all’altezza?” Quanti di voi dormono serenamente con questi pensieri che gli trapanano il cervello? Non posso pensare che tutto debba ricadere sulle spalle di fratelli e sorelle che hanno avuto già la vita pesantemente segnata dalla disabilità in famiglia, non posso e non voglio credere che non ci sia un mezzo dignitoso per passare il testimone.
La chiave di volta è come sempre nelle nostre mani, nella nostra capacità di fare rete tra di noi, di veicolare e mettere insieme le nostre possibilità, le idee, le esperienze e la volontà comune di lasciare i nostri figli in una situazione umanamente accettabile. “Qualcosa ci inventeremo” non è più solo il titolo del libro di Gianluca Nicoletti, ma è il nostro mantra, la parola d’ordine per dare un futuro ai nostri figli. Ma dobbiamo farlo per tempo, senza perderci dietro a traccheggiamenti e temporeggiamenti, senza appiattirci nelle nostre solitudini fatte di routine ossessive peggio di quelle dei nostri autistici. Non cadiamo nella trappola dell’isolamento e nel buco nero della depressione che sono sempre in agguato: non ce lo possiamo permettere, per alcuni versi sarebbe comodo affogare nell’oblio tutti i problemi, ma non lo faremo, non possiamo e non dobbiamo.
Perché nessuno lo farà al posto nostro, perché io ho imparato sulla pelle mia e di mio figlio a non aspettarmi nulla, soprattutto da chi ci si aspetterebbe che sia pronto a dare una mano. Perché noi siamo i soli a sapere cosa è meglio per loro, a conoscerne i gusti, le inclinazioni, le paure, le aspettative. Perché abbiamo dimostrato con fatica, sudore e sangue, che possiamo farcela e che questa maledetta rete piena di insidie può essere una grande risorsa, farci incontrare, trovare, confrontare, unire in una serie di battaglie che possono farci vincere questa guerra. Non abbiamo bisogno di stupidaggini celebrative, la nostra realtà, brutale, drammatica, comica, grottesca la conosciamo bene e come tutte le cose che si conoscono bene si possono affrontare. La paura la possiamo tenere a bada, come quando, all’indomani delle crisi epilettiche di mio figlio, ero terrorizzata all’idea di uscire per strada con lui per paura che gliene venisse una mentre stavamo camminando. Ho inghiottito la paura, mi sono detta che sarebbe andato tutto bene, siamo usciti e abbiamo fatto una bella passeggiata e poi un’altra e un’altra ancora.
LE BELLE LEGGI
Se si analizzano le notizie di questo ultimo anno, a fronte di una legge sull’autismo senza fondi, dove si parla di diagnosi precoce, assistenza e sostegno alle famiglie, terapie e supporti che senza quattrini restano lettera morta, a fronte dei nuovi LEA dove l’autismo è stato inserito, ma dove si parla, come sempre, di bambini autistici dimenticando che i bambini crescono e con loro crescono i problemi anche per noi, mentre lo stato li cancella dalla mappa degli aventi diritto, a fronte di una legge sul dopo di noi che fa acqua da tutte le parti, privilegia le assicurazioni e ci imbriglia ancora di più in una panie di burocrazia micidiale, le uniche iniziative concrete sono arrivate dalle famiglie che, come sempre, sono il vero motore. In primis il film di Gianluca Nicoletti, “Tommy e gli altri”, completamente autofinanziato, un documento importantissimo per far capire al mondo altro cosa significa la vita di una persona autistica e della sua famiglia con realismo e senza stereotipi. Poi le iniziative di chi si mette insieme, un piccolo gruppo di famiglie, per pianificare un futuro almeno abitativo per i figli, oppure chi apre un’attività, combattendo aspre battaglie con lacci e laccioli burocratici indegni di un paese civile. Questa è la realtà, il resto sono palle, promesse vuote di significato, elemosine (quando ci sono) che mettono i nostri figli ancora più all’angolo.
DIAMOCI UNA MANO
E allora dobbiamo essere noi, noi finché abbiamo la forza e la mente lucida, a darci una mano vicendevolmente. Uniamo le nostre forze, cominciamo dalle famiglie a noi più vicine, mettiamo sul tavolo quello che abbiamo, case, terreni, case di vacanze, magazzini, negozi, soldi, capacità. Analizziamo le attitudini, che sono tante e a volte inespresse e nascoste, dei nostri figli e costruiamo un progetto di vita per loro, un passo alla volta, ma con determinazione. Da anni vado dicendo che si dovrebbe fare una legge sull’imprenditoria per disabili, ma non ho ancora trovato nessuno che bazzichi i palazzi disposto a darmi una mano, sono tutti troppo presi dalle loro poltrone. Però io dico di provare, buttiamo giù un testo, facciamola girare. Se non si prova non sapremo mai se ce la possiamo fare. I nostri figli meritano più di una pensione indecente e di un assistenzialismo che sta progressivamente scomparendo e non possiamo vivere con l’incubo che finiscano in strutture pericolosamente simili a manicomi. Hanno diritto alla dignità di un lavoro, adatto alle loro capacità, alla soddisfazione di vedere un risultato perché, cari normodotati distratti e indifferenti, vi do una notizia: i nostri figli capiscono perfettamente tutto e, soprattutto, apprezzano quando hanno un riconoscimento meritato. I nostri figli sanno cucinare, coltivare, fare molte cose e le fanno bene, con cura e attenzione, la stessa cura e attenzione che meritano come cittadini e esseri umani.
I nostri giorni e le nostre notti hanno una consapevolezza che nessuna stupida giornata celebrativa avrà mai. E allora diamoci una mossa!
Irene Gironi Carnevale