In Calabria le mamme di Gaia rivendicano il diritto alla cura per i figli disabili
Hanno raccolto 23 mila firme raccolte in una settimana per chiedere la stabilizzazione del personale delle due Unità operative di neuropsichiatria infantile nella provincia di Cosenza: Contrada Lecco a Rende e Serra Spiga a Cosenza. I genitori di centinaia di bambini affetti da diverse forme di patologie, dall’autismo a problematiche visive, hanno unito le forze, stanchi di combattere quella che è diventata “una lotta della gravità”: accede alle terapie solo a chi viene riconosciuto più grave e urgente, gli altri rimangono in un limbo di attesa, frustrante sconfitta nella lotta contro il tempo per ottenere miglioramenti. Una incertezza che prosegue anche per i vincitori del posto: nessun dipendente è a tempo indeterminato e quindi si rischia la garanzia della continuità assistenziale. L’alternativa che rimane è una sola: viaggiare alla ricerca di ciò che dovrebbe spettar loro di diritto, ossia la certezza della cura.
Il SITO DELLA PETIZIONE
“A febbraio abbiamo consegnato una lettera al capo della scorta del presidente Mattarella quando è venuto ad inaugurare l’anno accademico dell’Università della Calabria. Siamo diventati tanti genitori e le stiamo veramente provando tutte per i nostri figli. L’obiettivo della petizione era arrivare a mille firme per Pasqua, in una settimana abbiamo superato le 23 mila. Non risolve i nostri problemi, ma è un segnale per farne parlare, perchè di disabilità si tende a discutere molto poco e nel silenzio rimaniamo sempre più soli”
Debora Cilio è la portavoce delle Mamme di Gaia, il movimento di genitori di bambini disabili della provincia di Cosenza che da sette mesi sta cercando di ottenere la visibilità su una situazione che si protrae da 11 anni nelle due strutture pubbliche più importanti del territorio per la diagnosi e la cura dei disturbi cognitivi dell’infanzia: l’U.O. di Neuropsichiatria Infantile e Riabilitazione dell’età evolutiva di Contrada Lecco a Rende (CS) e l’U.O. di Riabilitazione dell’età evolutiva di Serra Spiga a Cosenza. Entrambi con personale precario e liste di attesa che possono durare anche anni per centinaia di piccoli pazienti.
Si legge nella petizione del movimento. “Le due strutture hanno attualmente in carico un totale di 348 bambini – 208 Contrada Lecco, 140 Serra Spiga- affetti da un ampio spettro di patologie invalidanti: osteogenesi imperfetta (i cosiddetti bambini di cristallo), autismo di ogni grado, prematurità e suoi effetti, disturbi legati a patologie comportamentali e neuropsicologiche, problematiche visive, diverse patologie sindromi che, disturbi specifici dell’attenzione, malattie rare, disturbi del linguaggio, incuria, paralisi celebrali infantili, ipocusia neurosensoriale, epilessia, pluriminorazioni. A fronte dei 348 bambini/e già inseriti in un progetto terapeutico per entrambi i centri esistono delle liste di attesa infinite: 226 bambini per l’U.O di Contrada Lecco e 154 bambini in età evolutiva per l’U.O. di Serra Spiga, e la sosta in lista d’attesa può arrivare a durare, per alcuni, anche 24 mesi.”
Il motivo di tanta precarietà riguarda principalmente il personale. A Contrada Lecco su un organico di 15 terapiste, 13 sono impiegate con un contratto a tempo determinato e, delle due strutturate una ha un contratto a tempo indeterminato ma part time; a Serra Spiga 5 terapisti su 10 in organico sono con contratto a tempo determinato.
“Nel territorio è così anche nelle altre tre strutture pubbliche, questo porta inevitabilmente a non poter seguire tutti i bambini che avrebbero necessità e non solo anche chi, per riconosciuta urgenza, viene accettato, rischia di non aver continuità assistenziale perchè un terapista può non essere riconfermato. E si sa quanto sia difficile costruire un rapporto di fiducia con bambini affetti da sindromi come l’autismo. Spesso poi per far spazio a nuovi casi chi è in cura viene dimesso e deve ricominciare da capo in altri centri.Alle famiglie allora non rimane altra opzione che il privato, per chi se lo può permettere. Rispetto però a stare fermi si preferisce il salasso economico. Una seduta di logopedia che al pubblica costa 8 euro si paga 40 ad un privato. Ma come si fa ad aspettare? Quando si intuisce che il proprio figlio ha un problema si vorrebbe quanto prima avere una diagnosi e cominciare un percorso per aiutarlo, invece veniamo lasciati soli in balia della paura, dell’incertezza e magari anche delle terapie sbagliate.”
Debora ha una bambina di due anni, nata prematura, a 24 settimane, ipovedente. A 9 mesi ha cominciato il percorso per cercare di risolvere un problema motorio che rischiava di cronicizzarsi. Grazie all’intervento di specialisti ora cammina normalmente, deve però continuare le terapie per la vista o potrebbe perdere l’occhio.
“Lei ha vinto il suo posto dopo essere morta e rinata tre volte, ma non posso considerarla una fortuna. Ci portano a lottare tra genitori per chi ha il figlio più grave, mentre tutti dovrebbero poter accedere nello stesso modo alle terapie adeguate e nei tempi giusti. Quanto è frustrante capire che seppure un figlio non guarirà mai dall’autismo si potrebbe lavorare sulle autonomie e ottenere risultati se solo si intervenisse tempestivamente! Qui di tempestivo non c’è nulla, solo le parole che ci sono state dette in tutti questi mesi alle quali non sono seguiti fatti.”
A marzo le famiglie sono state ricevute dal Commissario alla sanità della Regione Calabria, che ha dato loro una speranza concreta: l’integrazione del decreto n.50 del 2017 per inserire il personale delle due strutture nel programma di stabilizzazione di 600 figure della sanità tra cui logopedisti e neuropsicolìmotricisti.
“Sarebbe la soluzione, peccato però che il decreto sia bloccato per la mancata firma del sub commissario. Siamo stati ricevuti dalla commissione sanità del consiglio regionale, hanno fatto anche una interrogazione parlamentare sul nostro caso, ma i posti della lista di attesa aumentano e noi tremiamo per l’incertezza del percorso di cura dei nostri figli assistiti.Non prendersi la responsabilità di centinaia di bambini e delle loro famiglie sta creando un debito generazionale che non possiamo permetterci. Non si può togliere a chi oggi ha possibilità di miglioramento questa chance e non si possono condannare i genitori alla perenne incertezza. Si parla del dopo di noi, ma bisogna occuparsi del presente. Manca la programmazione e ci si chiede di gestire l’ingestibile. Noi ci chiamiamo le mamme di Gaia, che non è il nome di una delle nostre bambine, ma è Gaia la madre terra, perchè non vogliamo essere genitori solo dei nostri figli ma di tutti coloro che hanno bisogno di essere curati e aiutati a crescere nel migliore dei modi possibili. I nostri figli sono il nostro mondo ora e domani.”
La richiesta finale della petizione è: “SBLOCCHIAMO IL Decreto 50 del 2017, diamo alla sanità calabrese una boccata di ossigeno, RICONOSCIAMO A QUESTI QUASI 700 BAMBINI IL LORO DIRITTO AD ASPIRARE ALL’AUTONOMIA!”