Il film Tommy e gli altri visto da Vanessa, compagna di classe di un autistico
Vanessa conosce bene l’autismo perché è laureata in psicologia, ma soprattutto perché è stata compagna di classe di Tommaso (anche lui chiamato Tommy), il figlio di Irene, di cui spesso abbiamo qui pubblicato le acute riflessioni. Vanessa ci ha mandato una sua lunga e dettagliata riflessione sul film “Tommy e gli altri”. Volentieri la pubblichiamo, sperando che sia spunto per possibili approfondimenti sulle tematiche toccate dal nostro documentario. Pubblicheremo naturalmente, qualora qualcuno ce li volesse inviare, anche eventuali appunti critici sul nostro lavoro. Insomma lo spazio per il dibattito è aperto…
Tommy e gli Altri è un docufilm che racconta una realtà semi sconosciuta, quella dei ragazzi/adulti con il Disturbo dello Spettro Autistico. Un film corale in cui le vite e le storie dei protagonisti si intrecciano e si incontrano avente come filo conduttore il viaggio. Il viaggio si divide in tre macro categorie: il percorso fatto per andare da una tappa all’altra, il viaggio nella vita e nella quotidianità dei ragazzi e delle loro famiglie e il viaggio che tommy e il papà fanno. Tutti e tre sono fluidamente interconnessi e spingono lo spettatore a una attenta e profonda riflessione che inizia già osservando le dinamiche padre/figlio e la strada che fanno per arrivare dagli altri protagonisti.
La sensazione che si ha quando Tommy e il papà entrano in casa dei ragazzi è quella di familiarità, sono sconosciuti ma tenuti legati da un filo invisibile generato da un un senso di appartenenza, persone che anche se non si conoscono si riconoscono gli uni nei vissuti e nelle emozioni degli altri. Ogni incontro descrive in maniera cruda e reale cosa accade a un ragazzo autistico e alla sua famiglia, l’intento non è quello di impietosire o generare tenerezza ma quello di rendere lo spettatore parte attiva, di informarlo, nel caso specifico del film della vita e delle battaglie di un autistico adulto. Si cerca di annientare l’idea del disabile come persona “speciale” mostrando l’importanza di una quotidianità e di avere obiettivi e scopi nella vita (ad esempio un lavoro o un’uscita con amici).
Mostra senza pietismi o buonismi le preoccupazioni di genitori che lottano affinché lo Stato ma anche la società riconoscano ai figli diritti e garanzie per una dignitosa qualità della vita come per tutti i cittadini. E’ un film di denuncia con attori che non stanno interpretando un ruolo e che gridano a gran voce la necessità di essere inclusi e considerati come i loro coetanei. Tutto il film ruota intorno al futuro dei ragazzi o meglio alle aspettative dei genitori per il loro futuro, quello che emerge è la necessità di un intervento istituzionale non dell’obiettivo raggiunto grazie all’impegno/ingegno/finanze del genitore. I fattori ambientali in questo caso hanno un ruolo importante e discriminante, se invece la gestione fosse a livello nazionale sarebbero tutti tutelati e non sarebbe il posto in cui si nasce, ad esempio, a determinare le possibilità del ragazzo.
La comunicazione è diretta, non edulcorata e non fa leva sui “buoni sentimenti” ma sulla necessità di consapevolizzare lo spettatore. La vita straordinaria di queste famiglie viene rappresentata come ordinaria e dovrebbe fare un salto di livello e riguardare le vite di tutti, non si deve ignorare o dispiacersi ma partecipare alla lotta di queste famiglie. Un punto di forza del film è quello di mostrare concretamente una delle caratteristiche principali del Disturbo dello Spettro Autistico, l’eterogeneità della manifestazione dei sintomi. Ho visto il film con una ragazza di 12 anni e per ogni ragazzo mi chiedeva “anche lui è autistico?”; questa eterogeneità nelle manifestazioni rende più difficile la diagnosi e la strutturazione di linee guida anche perché si tende a pensare all’autismo come a un disturbo uguale per tutti cosa sbagliata infatti si chiama Disturbo dello Spettro Autistico proprio per la sua varietà di manifestazioni. Nel film si capisce che il trattamento dell’autismo non può essere standardizzato e cristallizzato ma che però ci sia bisogno di sicurezze per il futuro di questi giovani adulti.
Non servono una lista di regole o leggi incomplete ma normative fluide che possano dare una stabilità e uno scopo al ragazzo esaltandone le caratteristiche e comprendendone le difficoltà dovute dalla disabilità. E’ un film adatto a tutti e a tutte le fasce d’età perché sensibilizza e informa attenendosi alle necessità e verità di chi convive con l’autismo e con il ragazzo. Ho aspettato con impazienza e molta curiosità l’uscita del film poiché anche io condiviso parte della mia vita con un ragazzo autistico, anche se per me non è “il ragazzo autistico” con cui ho fatto il liceo ma è semplicemente Tommy.
Il nostro rapporto (quello tra Tommy e la classe) è iniziato lentamente e con un po’ di timore da parte nostra; Tommy è arrivato in classe circa un mese dopo l’inizio della scuola e in quel periodo i professori hanno cercato di prepararci. A parer mio questo ha solo contribuito a creare una distanza e un certo “timore” nei confronti di Tommy; tutto questo credo sia stato fatto per tutelare noi e lui ma già da allora ci sembrava che non fosse la soluzione migliore. È stata la diretta conseguenza della disinformazione sull’autismo, poiché non era necessario creare un noi-lui ma semplicemente un noi.
Abbiamo preso il nostro tempo per conoscerci e da allora siamo diventati amici, ci siamo voluti bene, abbiamo litigato, abbiamo imparato a rispettare gli uni gli spazi degli altri, a non andare oltre durante le crisi di Tommy e ad accorgerci quando faceva il furbo (finti mal di testa!), ad essere alleati quando volevamo saltare qualche lezione noiosa, abbiamo scherzato (Tommy ancora ricorda le penne al posto del Kinder Bueno, scusa Tommy!). Devo dire che era proprio Tommy a tenere la classe unita e lo fa ancora oggi a quasi dieci anni dal diploma.
Non sapevamo e non immaginavamo cosa potesse fare Tommy dopo la scuola ma la mamma di Tommy (Irene) ci ha parlato delle sue preoccupazioni e dei suoi progetti, simili a quelli riportati da Nicoletti nel libro “Alla Fine Qualcosa Ci Inventeremo” e descritti in “Tommy e gli altri”. Il liceo senza di lui sarebbe stato un’esperienza incompleta perché non sarebbe stato lo stesso, Tommy è in tutti gli episodi epici della nostra classe. Mi risulta davvero difficile capire perché si possa pensare che avere in classe un ragazzo autistico sia considerato un problema, credo non dipenda dagli studenti ma dalla disinformazione dei genitori.
Quando eravamo in gita se qualcuno, anche per sbaglio, guardava male Tommy scattava un naturale senso di protezione. In conclusione l’apertura verso l’altro non porta mai a qualcosa di negativo, nel caso di Tommy porta a una perdita dei Ringo ma credo che quello sia il minimo! La mia amicizia con Tommy e le battaglie che la sua famiglia deve fare per raggiungere semplici diritti hanno anche influenzato mie importanti scelte di vita. Ciò che mi risuona in testa quando penso a questo film è: la persona prima della disabilità e il rispetto per gli spazi e i ritmi delle persone, sicuramente un ragazzo autistico non è una persona invadente ma sa rispettare gli spazi personali degli altri e sa essere anche molto affettuoso. Sarebbe stato bello poterlo vedere sulla rete nazionale in prima serata e non in seconda, spero che possa essere portato nelle scuole (non so se in alcune sia già stato visto) e nelle facoltà universitarie come Psicologia ad esempio, perché è importante formare le nuove menti e le nuove generazioni di professionisti.
Vanessa Monfreda