Gli scienziati: l’autismo si combatte con la stimolazione dei cervelletti ribelli
Sarà il 2018 l’anno dell’autismo? Ci si chiede, cioè, si arriverà finalmente a scoprire qualche rimedio che possa risultare utile ed efficace a tenere a bada i piccoli grandi problemi che affliggono le persone adulte dello spettro, che permetterà ai bimbi di poter comunicare i propri bisogni senza comportamenti disperati e magari acquisire quelle competenze necessarie per non perdere il treno sul quale salgono i loro coetanei normodotati? E renderà gli adulti più autonomi e più “animali sociali”?
Ogni anno speriamo che sia quello buono. Nel frattempo seguiamo le notizie che ci arrivano dal mondo della scienza. L’ultima proviene dalla Gran Bretagna, risale a qualche settimana fa e riguarda uno studio del team di ricercatori dell’ O’Donnell Brain Institute che avrebbe trovato un modo per ripristinare il comportamento sociale nei soggetti affetti da autismo. Gli scienziati hanno dimostrato che le disabilità sociali possono essere corrette dalla stimolazione cerebrale e ora stanno esaminando la possibilità di trattare i bambini autistici con la neuromodulazione. La ricerca prova che una parte specifica del cervelletto, cioè la regione vicino al tronco cerebrale specializzata nel coordinare i movimenti, è fondamentale per i comportamenti autistici. La ricerca stabilisce anche un obiettivo più accessibile per la stimolazione cerebrale rispetto a molti circuiti neurali correlati all’autismo che sono sepolti in profondità all’interno delle pieghe del cervello. “Questo è potenzialmente un risultato abbastanza potente – ha spiegato il dottor Peter Tsai, responsabile della ricerca condotta presso il Brain Institute dell’UT Southwestern Medical Center – Dal punto di vista terapeutico questa parte del cervelletto è un obiettivo allettante e sebbene la neuromodulazione non possa curare la causa genetica soggiacente l’autismo, il miglioramento dei deficit sociali nei bambini con autismo potrebbe avere un enorme impatto sulla qualità della loro vita”.
Come si legge su Tiscali.it, i ricercatori che hanno pubblicato il loro studio sulla rivista scientifica Nature Neuroscience hanno prima utilizzato la neuromodulazione per dimostrare che umani e topi hanno connessioni parallele tra domini specifici all’interno del cervelletto e della corteccia cerebrale, ritenuti implicati da molteplici studi sull’autismo. Successive fasi dello studio hanno dimostrato che interrompere la funzione all’interno del dominio cerebrale ha comportato comportamenti autistici e che la stimolazione cerebrale ha corretto la compromissione sociale nei topi.
Ora si aspetta uno studio che permetta di garantire un certo livello di sicurezza della tecnica sui bambini. Sebbene i medici abbiano applicato senza problemi la neuromodulazione cerebellare a disturbi come la schizofrenia, non è stata ancora applicata e studiata nei bambini con autismo. “Questa parte del cervello – ha commentato il dottor Tsai, che ora sta pianificando degli studi presso il Centro per l’autismo e le disabilità della UT Southwestern – non ha ricevuto l’attenzione che merita per quanto riguarda la comprensione dell’autismo”. La maggior parte degli studi sull’autismo si è infatti concentrata sulla corteccia, una regione del cervello associata alla cognizione.
Per comprendere meglio il ruolo del cervelletto nella mediazione di questi comportamenti, il team del dottor Tsai ha utilizzato la neuromodulazione per dimostrare che umani e topi hanno connessioni parallele tra il dominio destro crusI del cervelletto e il lobulo parietale inferiore della corteccia. Gli autori dello studio hanno poi utilizzato l’imaging cerebrale per dimostrare che quelle stesse connessioni sono interrotte in una coorte di bambini autistici e in un modello di topo autistico. Hanno inoltre dimostrato che l’interruzione della funzione all’interno di Right Crus in topi normali ha comportato un’interazione sociale alterata e comportamenti anomali e ripetitivi.
Il team è andato oltre e ha cercato di verificare se la neuromodulazione potesse migliorare i comportamenti. Stimolando i neuroni in questa parte del cervelletto di modello di topo autistico, gli scienziati hanno dimostrato che la stimolazione cerebellare migliora i comportamenti sociali, ma non i comportamenti ripetitivi caratteristici dell’autismo in questi topi. Il responsabile dello studio ha spiegato che gli effetti limitati possono riflettere il coinvolgimento di parti aggiuntive del cervelletto o forse il periodo di tempo limitato per correggere alcuni comportamenti. Tuttavia, ha anche notato che questa neuromodulazione ripristinava i comportamenti sociali anche nei topi adulti. Questo risultato suggerisce che le persone con autismo possono ancora beneficiare dei trattamenti anche se l’intervento arriva in tarda età.