Pensare Ribelle

Luca e le sue sorelle…

Quando Luca arriva a casa da scuola con il pulmino, sua sorella Emma è già a casa da una mezz’oretta e io e lei siamo spesso sul divano a chiacchierare. Poi Luca entra e la prima cosa che fa è chiedermi un abbraccio (“A HUG! A HUG!”) e mentre mi stringe il collo un po’ troppo forte, mi chiede anche di cantargli una canzoncina. Emma aspetta il suo turno e poi è lei a chiedergli un abbraccio. Ma con lei è diverso, perché a Luca non interessa molto abbracciare la sua sorellina: Emma però gli mette le mani attorno alla pancia, poi prende le braccia di Luca e se le mette attorno al collo. Luca non vede l’ora che questa farsa finisca, perché ha da fare: deve togliersi il cappotto, appenderlo, aprire il suo zainetto, aprire la busta con dentro la lunch box sporca, da mettere nel lavandino. Deve prendersi un bicchiere, aprire il frigo e versarsi del latte, e poi chiedermi di accompagnarlo in bagno e poi in camera sua, ad attaccare alla presa il suo iPad.

Quindi Emma rimane in piedi in mezzo alla sala, a guardare questo suo fratellone strano fare di tutto per svincolarsi da lei. Non ci rimane male: conosce bene gli abbracci autistici di Luca, e sa che non fa così perché non vuole stare con lei. Ma finora non si è ancora data per vinta e glielo chiede sempre, un abbraccio, anche se sa che dovrà farlo lei per lui.

Sa anche che Luca la cerca solo quando ha bisogno, altrimenti non è mai il primo ad interagire. Ma neanche per queste cose ci rimane male o si dà per vinta: quando va in camera sua ad aiutarlo a caricare l’iPad, prima gli chiede di fare un puzzle insieme, che Luca fa con un po’ di nervi, ma anche con un sorriso che non riesce a trattenere. Quando sono in macchina, Emma gli canta sempre le sue canzoni preferite, o gliele fa ascoltare. Quando Luca fa fatica a camminare sulla neve, perché ha paura di cadere, è Emma, che ha dieci anni meno di lui, che gli va incontro per aiutarlo, che lo mette in macchina e gli insegna ad allacciarsi la cintura di sicurezza da solo e che gli dice: “Good boy, Shmoo!” È stata Emma ad arrabbiarsi con la terapista quando a voce alta e davanti a Luca, aveva detto cosa gli aveva regalato per Natale: “Era una sorpresa…È una mancanza di rispetto dirlo davanti a lui! Non è scemo: capisce!”, aveva borbottato prima di uscire dalla stanza visibilmente scocciata.

A vedere Emma non sembra, eppure non deve essere facile avere un fratello come il suo. Dal punto di vista teorico, è stupido rimanerci male, perché convivendo con lui si conoscono perfettamente tutti i suoi limiti. La cosa difficile da fare ma che Emma sembra fare con una facilità sorprendente, secondo me, è, malgrado tutto, comunque partecipare, comunque chiedergli di essere abbracciati o salutati o di giocare insieme, o di tenersi per mano. La cosa difficile é, dopo tanti anni, continuare testardi a percorrere una strada a senso unico, in cui si ha sempre l’impressione di essere un pochino soli, un pochino rifiutati, un pochino illusi.

Sofia, che è più grande di Emma di sette anni, ha resistito anche lei all’essere sempre ignorata da suo fratello, ma credo che per lei sia stata più dura avere un fratello più o meno della stessa età ed essere sempre ignorata da lui, trattata come se non esistesse, e infatti adesso interagisce meno con lui: a dieci anni si capisce il motivo, ma a tre è molto più difficile. Quando era piccola e la sera andavo in camera sua prima di metterla a letto, spesso mi interrompeva mentre le leggevo un libro, per dire: “Vorrei solo sapere qual è il suo colore preferito…”, oppure: “Ma secondo te mi vuole bene?”. Certo che ti vuole bene, le rispondevo e infatti negli anni Luca ha regalato tanto a Sofia, prima di tutto i gusti musicali: ancora adesso ascolta canzoni che ha scoperto grazie a suo fratello, e ogni volta sorride.

Mi fanno tenerezza, le mie due ragazze quando le vedo remare contro corrente, contro la difficoltà di Luca di interagire con il mondo, e andare lo stesso verso di lui per cercare anche un piccolo, impercettibile segnale di complicità.

Marina Viola

marinaliena

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Marina Viola porta il quaranta di scarpe. Vive a Boston e ci fa il diario di quella che pensiamo essere l’ altra parte della luna. Che significa per noi autistici vivere negli Stati Uniti? Potete farle anche domande….

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La redazione di "Per Noi Autistici" è costituita da contributori volontari che a vario titolo hanno competenza e personale esperienza delle tematiche che qui desiderano approfondire.

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