Il sibling e la scienziata: Filippo intervista Hanna Alonim su autismo e diagnosi precoce
Un sibling incontra a Roma una scienziata israeliana studiosa dell’autismo. E’ così che Filippo, fratello maggiore di Tommy autistico ventenne, ha intervistato Hanna Alonim che è a capo del Mifne autism center l’unico centro in Israele che offre un trattamento intensivo a breve termine per l’autismo nei bambini fino a due anni. Il Mifne Centre si trova a Rosh Pina, in un edificio in pietra splendidamente restaurato situato nel centro storico. Mifne si prende cura dei bambini con diagnosi di disturbi dello spettro autistico provenienti da tutto Israele e dal mondo, utilizzando un metodo unico sviluppato sin dalla sua fondazione nel 1987.
Il giorno 28 maggio 2018, in occasione del XVI Congresso organizzato dall’Associazione Mondiale per la Salute Mentale del Bambino a Roma dal giorno ventisei al giorno 30 maggio, ho avuto il piacere di intervistare Hanna Alonim, ricercatrice israeliana ed esperta di autismo infantile a capo del Centro Mifne per il Trattamento, la Formazione e la Ricerca, da lei fondato nel 1987, specializzato nell’assistenza a bambini con una diagnosi legata allo spettro dell’autismo e operante a Rosh Pina, Israele. La Dottoressa Alonim è intervenuta di persona nel corso della Conferenza con una discussione incentrata sul tema “Genitorialità impegnativa: triade terapeutica delle famiglie e dei bambini ad alto rischio di autismo,” riguardo l’importanza della diagnosi precoce come mezzo per individuare tempestivamente i sintomi di un’eventuale disabilità cognitiva, incluse le principali forme dei disturbi dello spettro autistico.
L’obiettivo di questo articolo è di evidenziare i punti significativi emersi nel corso dell’intervista tenutasi con lei all’Ergife Palace Hotel, dove si è svolta la Conferenza, e di gettare un po’ di luce sulla vera, e più scientificamente attendibile, eziologia dell’autismo, per riallacciarsi al tema fondamentale della presentazione condotta dalla Dottoressa Alonim: intervenire precocemente, una volta identificati i sintomi dello spettro autistico nel bambino, può avere un impatto maggiore nella formazione dell’individuo e nello sviluppo delle sue capacità di apprendimento e di indipendenza. L’intervista è stata possibile grazie al gentile intervento e alla diretta partecipazione di Michal Gur-Aryeh, portavoce dell’Ambasciata di Israele a Roma.
Nel discutere apertamente sul problema dell’autismo infantile, la Dottoressa Alonim ha spiegato in maniera semplice ed esaustiva come la diagnosi e l’intervento precoci in soggetti con sintomi sospetti di autismo possano solo migliorare il loro stile di vita. “Bisogna tenere a mente che il cervello umano è molto flessibile nel periodo successivo alla fase postnatale”, sottolinea la ricercatrice, “pertanto intervenire durante la primissima infanzia può attenuare, o per lo meno scongiurare, l’inasprimento di problematiche legate allo spettro autistico.”
Ci teniamo a ricordare che non esiste una vera e propria cura che possa eliminare definitivamente l’autismo in età infantile. Per somministrare il “farmaco” giusto sarebbe necessario ricercare la corretta eziologia del deficit all’origine dell’autismo per se, cosa impossibile da realizzare quando non si conosce con certezza la causa principale dietro a tale fenomeno. “Sappiamo che l’autismo può essere condizionato da fattori genetici”, continua la Dottoressa, “sono stati individuati circa 600 geni che, a causa di mutazioni non ancora chiare, favorirebbero l’emergere del disturbo.” A differenza della sindrome di Down, causata dalla mutazione di un singolo gene alla base della trisomia del cromosoma 21, l’autismo è relativo a un numero maggiore di geni mutati che possono presentarsi in una serie pressoché illimitata di combinazioni difficilmente riscontrabili con i moderni mezzi di ricerca scientifica. Persino un semplice esame del sangue non sarebbe in grado di identificare ogni singola combinazione, al più evidenzierebbe solo una piccola parte dei geni mutati, rendendo l’intera operazione inutile.
Oltre all’elemento genetico, la ricerca scientifica ha cercato di dare una spiegazione sull’origine dell’autismo riconducendola allo sviluppo neuronale. Nel corso dell’intervista, la Dottoressa Alonim si è soffermata sulle funzionalità della corteccia frontale del cervello, una delle tre parti sospettate di aumentare la possibilità di manifestare i disturbi dello spettro autistico, per spiegare come l’intervenire sui sintomi dell’autismo nei primi mesi di vita sia cruciale per lo sviluppo futuro del bambino.
Nella corteccia frontale risiedono i neuroni che vanno a formare le cellule nervose. In un soggetto normodotato questo flusso di neuroni cambia forma e posizione durante i primi anni di vita: se alla nascita esso si presenta con una disposizione sporadica e con dimensioni ristrette, a partire dai sei mesi le cellule nervose diventano molto più spesse e il cervello le elabora secondo una combinazione precisa e ordinata. Invece in un soggetto autistico queste connessioni si configurano in maniera diversa e disordinata, alterando l’ordine della disposizione neuronale e frenando lo sviluppo cognitivo. Immaginate di voler costruire un edificio a più piani: per completare l’opera è necessario che ogni piano si regga su solide fondamento che sostengano il peso del piano soprastante. Tuttavia, “se togli il sostegno a un solo piano, il resto dell’edificio finirà per crollare al suolo per mancanza d’infrastrutture”.
Durante questa fase della vita, che va dai sei mesi ai due anni di età, il bambino è in grado di apprendere il maggior numero d’informazioni possibili, mentre sotto tale fascia d’età la corteccia frontale non è ancora sviluppata del tutto. Se i genitori intervenissero durante questa prima fase di vita, quando i sintomi appaiono evidenti, sarebbe possibile influenzare la direzione
dei neuroni, migliorando così la natura degli stimoli sensoriali (visivi, uditivi, tattici, ecc.) e l’apprendimento cognitivo e comportamentale del bambino. Quando la combinazione di cellule nervose è già completa, dai due ani di età, cambiare le connessioni neuronali diventa impossibile. Per quanto si cerchi di intervenire per cambiare le sue condizioni, un bambino autistico a basso funzionamento diagnosticato intorno ai due o tre anni di vita non sarà in grado di conseguire maggiori miglioramenti per una vita pienamente indipendente rispetto a un suo coetaneo cui l’autismo è stato diagnosticato prima che superasse i ventiquattro mesi. Potrà sempre migliorare e acquisire maggiore indipendenza grazie alle diverse terapie, ma molti dei suoi problemi persisteranno per tutta la vita.
La mancanza una diagnosi corretta e tempestiva è un problema molto diffuso nel mondo occidentale: i dati scientifici dimostrano che in Europa e negli Stati Uniti l’autismo viene in media diagnosticato non prima dei tre anni d’età, quando è oramai troppo tardi per influenzare lo sviluppo neuronale del bambino. La situazione appare diversa in Israele, classificato come primo paese al mondo per numero di diagnosi precoci non solo per l’autismo, ma per qualsiasi tipo di disabilità cognitiva. Diverso è anche il rapporto dei soggetti con autismo riconosciuti a livello territoriale: mentre negli Stati Uniti si registra un individuo autistico ogni quarantasette abitanti, in Israele il rapporto è di uno ogni ottanta individui, segno di una maggiore incidenza ed efficacia della diagnosi precoce.
Il paese è inoltre all’avanguardia nel riconoscimento dei segni precoci dell’autismo e dell’offerta di terapie migliorative sia per il bambino sia per la sua famiglia. Nel corso degli anni il Centro Mifne, gestito dalla Dottoressa Alonim, ha perseguito l’obiettivo di aiutare i bambini con diagnosi precoce e istruire le famiglie sul riconoscere immediatamente i sintomi dello spettro autistico prima dei due anni di vita. In uno studio condotto dal 1997 al 2007, ai genitori di 110 bambini oltre i due anni d’età fu richiesto di fornire delle registrazioni su videocassetta dei loro figli autistici prima ancora che ricevessero una diagnosi medica. Dall’esame attento dei materiali è emerso che i sintomi dell’autismo erano già palesi nel bambino dai primi mesi di vita fino a un anno d’età. Lo studio ha permesso l’identificazione di otto segni riguardanti il DSA nei primi anni di vita che potrebbero predire l’insorgere dell’autismo: mancanza di contatto visivo, eccessiva passività, mancanza di reazione alla voce o alla presenza dei genitori, ritardo nello sviluppo motorio, iperattività, rifiuto del cibo, crescita accelerata della circonferenza della testa e avversione al contatto tattile.
A molte di queste famiglie, che si erano accorte da subito di almeno uno dei sintomi sopra citati, la diagnosi di autismo è arrivata troppo tardi, per i soliti motivi noti anche a noi (incomprensione da parte di parenti e amici, diagnosi errate, false credenze, ecc.). Ancora oggi in Italia non esistono dati certi sul rapporto d’individui con autismo, mentre la diagnosi precoce rimane ancora poco diffusa.
In un paese dilaniato dai falsi miti del fanta-autismo, dal ricorso a metodi alternativi alla medicina basata sulle evidenze scientifiche e al capro espiatorio dei vaccini dannosi, gli interventi trattati dalla Dottoressa Alonim potrebbero fare un’enorme differenza e contribuire in maniera radicale a una sana cultura dell’autismo sia in ambito medico sia nella realtà sociale. E se questo tipo di trattamenti non potrà giovare ai nostri ragazzi ormai adulti e formati, sarà di grande aiuto e sostegno per le nuove generazioni di genitori dei futuri giganti-bambini.
Filippo Nicoletti
(BA in International Affairs, Minor in Economics John Cabot University )