Negli anni 70 in Italia si torturavano con gli elettrodi i bambini dai cervelli fuori standard
Sembra impossibile che negli anni 70 esistessero ancora luoghi di segregazione e tortura per bambini con cervelli diversi. Il reportage di Dominella Trunfio per “GreenMe” ci apre gli occhi su una realtà terrificante. Non dobbiamo dimenticare che a Torino questo è potuto accadere nell’Italia civilizzata del 1970, anno della legge sul divorzio e dell’approvazione dello Statuto dei lavoratori; c’era uno stimato e titolato psichiatra come Giuseppe Coda che pensava di poter “rieducare” dei bambini “atipici” torturandoli con la corrente elettrica, fu condannato a 5 anni di detenzione che non scontò per un’amnistia. Se non che, sette anni dopo, quattro uomini di “prima linea” entrarono nell’appartamento dove Coda ancora visitava i pazienti e lo gambizzarono.
Legati ai letti, imbottiti di medicine e spesso con gli elettrodi applicati ai loro genitali per ‘educarli e domarli’. Se i muri di Villa Azzurra, il cosiddetto manicomio dei bambini, potessero parlare racconterebbero proprio questo orrore. Ecco cosa succedeva al suo interno.
Un vero e proprio lager chiuso definitivamente nel 1979, ma l’imponente Villa Azzurra esiste ancora, ma versa in uno stato di abbandono. Si trova al confine fra Grugliasco e Collegno, in fondo alla via Lombroso a Torino e per tanto tempo è stato un luogo macabro che non somigliava né a una villa e né rimandava alle fiabe.
Gli orrori dentro Villa Azzurra
Bambini che venivano internati perché ‘ineducabili’ e ‘pericolosi a sé e agli altri’, avevano anche tra i 3 ai 4 anni e venivano legati ai cancelli del giardino o ai termosifoni bollenti, al letto e fuori al freddo se mostravano troppa vivacità o erano ‘lagnosi’.
E proprio la foto di una bimba di 10 anni, legata al proprio letto, nuda e con gli occhi rassegnati pubblicata dall’Espresso il 26 luglio 1970 aveva fatto scoppiare lo scandalo al manicomio diretto dal professor Giorgio Coda (poi processato e condannato per maltrattamenti).
Era Coda a incentivare l’utilizzo degli elettrodi applicati ai genitali quando i bambini facevano la pipì a letto ed era sempre lui a farli lottare tra loro. Che colpa avevano questi piccoli? Forse quella di essere vivaci come la stragrande maggioranza dei bambini della loro età o di essere figli illegittimi e non voluti da nessuno? E che fine hanno fatto? Quanto questa drammatica esperienza ha segnato la loro vita? Bene lo racconta Alberto Gaino nel suo libro ‘Il manicomio dei bambini’(Edizioni Gruppo Abele) che parla proprio di quelle stanze che sarebbero dovute essere una comune ‘Sezione medico-pedagogica’.
Ma di pedagogico, spiega Gaino tra le pagine, in queste detenzioni dell’orrore non c’era nulla. E le testimonianze raccontano di violenze, torture, decessi provocati dalle cure ai limiti, tra presunta scienza sperimentale e stregoneria: come quella di Ignazio, morto legato nudo al letto, o come la storia dei gemelli Grazia e Valter.
Gerardo, l’ultimo a lasciare il manicomio, negli anni 80, vive in una comunità della collina e parla come un bimbo, così come Spartaco, anche lui vittima del ‘medico elettricista’ che finalmente a 60 anni, dopo anni passati in altri manicomi e comunità ha finalmente trovato una famiglia grazie allo “Iesa”, progetto di affidi di pazienti psichiatrici presente in tutta Italia.
Cosa hanno in comune Grazia, Valter, Spartaco e tutti gli altri internati? Un’infanzia rubata e segni indelebili sul corpo e nella mente, orrori e violenze che lo Stato conosceva ma ha sottaciuto per tanto tempo.
“Avevo tre anni quando un’assistente sociale mi portò a Villa Azzurra che di quel colore non aveva proprio nulla. Ci finii perché quella buona donna di mia mamma mi aveva avuto da un uomo che della paternità se ne infischiò allegramente, non l’ho mai incontrato. Lei era giovane e sola”, si legge all’inizio del libro.
Villa Azzurra, divenuta un caso mediatico nel ’70 venne smantellata dopo l’approvazione della 180, la legge Basaglia che nel ’78 abolì i manicomi, ma nessuno potrà cancellare quei giorni di terrore. Come la definisce Gaino: è stata una delle più grandi vergogne d’Italia.
La condanna di Coda
L’11 luglio 1974 arriva la sentenza Coda è colpevole di “abuso di mezzi di correzione”.
Il trattamento medico consisteva nell’applicazione di scariche di elettroshock durature ai genitali e alla testa che non facevano perdere coscienza al malato pur provocandogli lancinanti dolori e che avrebbero dovuto, secondo Giorgio Coda, curare il paziente. Il trattamento era chiamato da Coda “elettroshock” o “elettromassaggio” a seconda che venisse praticato alla testa o ai genitali.
Altre volte, la parola elettromassaggio era usata come sinonimo di elettroshock. Il trattamento era praticato quasi sempre senza anestesia e, a volte senza pomata e gomma in bocca, facendo così saltare i denti al paziente. Giorgio Coda, durante il processo, ha ammesso di aver praticato circa 5000 elettromassaggi.