I viaggi di Marina Viola verso un posto per il figlio autistico adulto
Stamattina sono andata a visitare il primo centro diurno per persone disabili della mia vita. Mio figlio Luca compirà 22 anni a novembre, e da allora non avrà più accesso a Crossroads, la sua scuoletta che frequenta da quasi undici anni e dovrà andare a passare le sue giornate con disabili adulti. È una transizione importante e spaventosa per noi genitori, anche perché l’immaginario che abbiamo è un istituto anonimo e enorme, dove persone dai 22 anni alla loro morte camminano come zombie nei corridoi bui e infiniti, oppure se ne stanno in un angolino, pieni di piscio per ore, prima che qualcuno, maltrattandoli, li porta a lavarsi. Sono arrivata al 50 di Whitman street, dove c’è la sede di 3LPlace, alle dieci e mezza in punto. Credevo di aver sbagliato strada, perché il 50 è una casetta di legno, con un giardinetto ben curato davanti. Sono uscita dalla macchia affrontando i 37 gradi centigradi, e una giovane donna, mi avvicina e mi fa: “Lei è la signora Viola? Sono Rachel!”.
Siamo entrate nella casetta, dove sul divano della sala grande come la sala di un appartamento di città, erano seduti tre uomini giovani, forse di 25 anni. Un altro era seduto su una sedia a dondolo, e una donna un po’ più anziana era seduta su una sedia. Gli utenti. Michael, l’insegnante, pieno di tatuaggi come piace a me e stava scrivendo su una lavagnetta tutta tecnologica: Marina’s visit. Una delle loro attività di stamattina.
Quando sono entrata, qualcuno mi ha guardato, altri hanno fatto come farebbe Luca, e cioè non hanno neanche notato la mia presenza. “Good morning”, ho detto prima di sedermi di fianco a Henry, un bell’uomo con la sindrome di Down. Michael ha chiesto ad ognuno di presentarsi: qualcuno ha detto il proprio nome altri lo hanno sussurrato sottovoce, la donna mi ha raccontato vita morte e miracoli di lei e della sua mamma. Dopo Marina’s visit, avrebbero dovuto organizzare una festicciola per una delle insegnanti che ha appena avuto un bimbo: il giorno prima avevano preparato una torta, i palloncini, dei bigliettini, e oggi dovevano decidere quale sarebbe stato l’ordine della festa: prima la torta o i regalini?, e poi avrebbero dovuto fare i pacchettini dei regali fatti da loro. Cose del genere. Il terzo punto sulla lavagna indicava una piccola lezione “sociale”: certe volte non bisogna dire esattamente quello che si pensa, diceva Michael. Per esempio, se non vi piace la mia camicia nuova, ma entro qui in sala vi chiedo: “Guarda, l’ho appena comprata. Ti piace?”, dovete cercare di essere gentili e magari dire una bugia per non ferirmi.
Poi è arrivata Sandra, un’altra insegnante, che ha parlato a lungo, e insieme a Michael, ha sottolineato per ogni utente le cose belle fatte la settimana prima: JB era riuscito a scrivere sul suo iPad il motivo per cui era triste, Henry aveva imparato a fare e a ricevere telefonate, Steven aveva ottenuto una promozione nella gelateria in cui lavora, e adesso, invece di mettere i prezzi sulle coppette, avrebbe potuto anche servire il gelato e, se necessario, lavare qualche piatto.
Poi hanno discusso del viaggio di tre giorni fatto in Vermont. Io ascoltavo e pensavo: “Sì, ma questi in confronto a Luca sono dei geni! Luca
non ce la farebbe mai a stare dietro a queste conversazioni!” Rachel ad un certo punto, mi ha chiesto di andare in una delle stanzette dell’appartamento per parlare. La prima cosa che le ho detto è che questo ambiente è esattamente l’opposto di quello che avevo in mente fosse un centro diurno: il gruppo è piccolo e affiatato, gli insegnanti sono estremamente attenti, gentilissimi, positivi, allegri, e sorridendo mi ha detto che il loro è un programma molto sperimentale, aperto da una mamma che aveva fatto il giro di tutti i centri diurni della zona e ne era rimasta schifata.
Le ho detto anche che mio figlio non riuscirebbe assolutamente a rimanere al passo, perché è a basso funzionamento, ma lei mi ha detto che ogni persona disabile ha una voce che vuole uscire e che loro sanno come fare a scoprirla. “Tante di queste persone hanno impiegato molti mesi prima di arrivare a questo livello. Alcuni sono a basso funzionamento, ma fanno progressi tutti i giorni e piano piano si sentono sempre più a loro agio e imparano anche molto dagli altri.
Se per caso un utente non riesce a fare un’attività, vuol dire che ne farà un’altra. Non discriminiamo, anzi per noi avere persone a basso funzionamento è una specie di sfida.”. Mi ha detto anche che questi lunghi incontri vengono fatti solo il mercoledì mattina: il lunedì vanno in palestra, il martedì a fare volontariato in una casa di cura, il giovedì invece stanno fuori tutto il giorno a fare attività diverse, il venerdì non mi ricordo. Due volte al mese vanno in gita. Ha aggiunto che tutto lo staff è molto preparato, soprattutto per stare con persone autistiche (almeno quattro degli utenti sembravano autistici), ma che non fanno terapia comportamentale, a meno che non ci siano persone con comportamenti pericolosi che vanno cambiati.
Lo Stato paga il programma, ma possiamo anche decidere, come hanno fatto altri genitori, che Luca frequenti il centro tre volte la settimana, (è aperto dalle 10 alle 16 dal lunedì al venerdì) e avere un terapista per i restanti due giorni che lo porta a fare fisioterapia, logoterapia e terapia occupazionale un giorno e l’altro magari a fare shopping, o al cinema, o in piscina, o lo tenga comunque impegnato per la giornata. Mi assicura che lo Stato paga per tutti questi servizi, ma a me sembra troppo bello per essere vero. Mi dice anche che parlerà a lungo con gli insegnanti di Luca e con i terapisti per capire meglio i suoi bisogni e per poterlo accomodare al meglio possibile. Conclude dicendo che i genitori vengono contattati una volta la settimana all’inizio e poi una volta al mese per discutere i progressi e che comunque c’è un periodo di prova per tre mesi, per capire se il connubio funziona.
Alla fine della riunione, siamo uscite e Michael e gli utenti stavano scatenandosi in balli scoordinati con la musica di un film di Walt Disney. Sembravano felicissimi.
In macchina ho subito pensato che sarebbe il posto ideale per Luca, ma più mi avvicinavo verso casa e più mi venivano dei dubbi: E se mi piacerebbe che andasse lì anche solo perché farebbe piacere a me? E lui, invece? Si sentirebbe lasciato fuori dal giro, si sentirebbe un po’ messo da parte? E poi la sede, che è un piccolo appartamento, è molto carina, ma mi sembra poco spaziosa. È anche vero che Rachel mi ha detto che a dicembre cambieranno sede. Andranno in un posto molto più grande anche perché vorrebbero espandere il loro business e avere più utenti. Ha detto business? Mi è sembrato un termine stonatissimo, anche se, per carità, capisco. La settimana prossima ne vado a visitare un altro, questo sarà molto più grande, con molti più utenti e ci saranno forse persone più simili a Luca. So già che sarà meno figo, ma forse più giusto per lui.
Vedremo.
Nel frattempo, vi tengo informati.
Marina Viola
http://pensierieparola.blogspo