Outsider art per soli Cervelli Ribelli
Il termine Outsider Art rappresenta una specifica categoria di arte riconosciuta a livello internazionale. Il termine è la variante inglese di Art Brut con la quale si è definita la collezione d’arte privata dell’artista e teorico francese Jean Dubuffet, ora diventata museo pubblico in Svizzera. Gli artisti dell’outsider art sono non professionisti, persone completamente a digiuno delle tecniche e dei principi base, ma che comunque riescono a trasmettere un forte senso di individualità e originalità.
Nata all’interno delle istituzioni manicomiali, l’outsider art attualmente raggruppa anche l’arte prodotta da individui perfettamente in grado di gestire la propria vita ma che si allontanano, consciamente o meno, dalla classica nozione di arte con standard comuni riconosciuti. Per gran parte dei commentatori, l’Outsider Art rimane comunque quella prodotta da persone il cui status mentale è in contrasto con la norma, o che hanno disagi fisici così importanti da influenzarne i comportamenti e l’espressività o che sono in situazioni economiche al limite della sopravvivenza.
Nell’ambito dell’Outsider Art si parla spesso di autismo come espressione artistica che si manifesta in condizioni di ritiro psicologico ed emotivo. Anche l’arte non si sottrae alla semplicistica etichetta con la quale viene classificato tutto ciò che è altro da noi, negando paradossalmente una diversa visione della realtà, alla base di tante correnti d’espressione. L’accuratezza dei dettagli, la fedele riproduzione della realtà sono caratteristiche artistiche e non semplici tratti distintivi della neurodiversità. È il caso di Stephen Wiltshire, artista autistico riconosciuto a livello internazionale.
Oliver Sachs lo incontrò quando era ancora un bambino e ne rimase impressionato perché, al di là di quello che ci si sarebbe aspettato, Stephen era molto socievole. Il suo sviluppo psico-motorio si era realizzato in ritardo, amava stare da solo e non tollerava il contatto fisico, tutte caratteristiche che lo ponevano all’interno dello spettro. La morte del padre, quando lui aveva solo tre anni, travolse la sua esistenza: cominciò a dondolarsi, a gridare, a sbattere le mani e perse quel poco di linguaggio che aveva appreso. Venne mandato in una scuola speciale e ben presto manifestò un certo interesse per i quadri presenti nell’edificio, rimanendo ore a guardarli per poi cercare di riprodurli dando vita a una serie di scarabocchi, vere e proprie prove d’autore. Dalla riproduzione di animali, automobili e persone sotto forma di caricature, Stephen passò all’architettura da cui era fortemente attratto.
Come sempre capita, la fortuna di un artista, e in questo caso di una persona neuro diversa, dipende dagli incontri. Chris Martin, nuovo insegnante di arte, rimase impressionato dalla finezza dei disegni, dalla padronanza nel tratto e nella prospettiva. I lavori di Stephen non potevano essere considerati semplici disegni infantili: o da solo si era impadronito della tecnica e delle complesse leggi della prospettiva oppure il tutto gli era innato. Pur non avendo bisogno di insegnamenti, Chris continuò a stimolare la capacità artistica di Stephen fornendogli sempre dei nuovi spunti di visione e di riproduzione. Affiancò l’azione grafica al linguaggio dando origine al primo importante lavoro: London Alphabet, una serie di ventisei disegni di punti di interesse di Londra, uno per ogni lettera dell’alfabeto. E quindi A per Albert Hall, B per Buckingham Palace, C per County Hall e così via.
Stephen aveva una memoria visiva prodigiosa, bastava uno sguardo ed era in grado di riprodurre, a distanza di tempo, gli edifici con estrema accuratezza. Visitò Venezia, Amsterdam, Leningrado, Mosca, alcune volte sorvolò la città in elicottero per poi riprodurla rapidamente come seguendo una scia creativa inarrestabile fino all’ultimo dettaglio.
Mentre i lavori di Stephen sono esatte riproduzioni del reale, quelle di Gilles Tréhin, anche lui autistico, sono frutto della fantasia, decine di disegni per illustrare una metropoli insulare chiamata Urville con più di 150 grattacieli, 500 chiese cattoliche, 57 sinagoghe, 14 moschee, otto templi buddisti e più di dodici milioni di abitanti. La città è stata inizialmente costruita usando i Lego; successivamente Gilles è passato al disegno continuando uno studio che è diventato anche storico e sociale, in costante evoluzione. A distanza di più di venti anni, Gilles è sempre alle prese con Urville continuando ad aggiungere nuovi elementi.
Roy Wenzel è un artista olandese, con diagnosi tardiva di autismo. Agli inizi del 1950 la sua famiglia fu costretta a ritornare in Olanda come rifugiata dall’Indonesia. Vivendo nei campi profughi, il piccolo Roy cominciò a soffrire di una grave forma di eczema. Ricoverato in ospedale per essere curato, iniziò a disegnare continuando a casa e riproducendo tutto ciò che trovava. Mentre non c’è traccia dei primi lavori, quelli prodotti nell’età adulta sono entrati a pieno diritto nel mercato dell’arte.
Alcune sue opere richiamano il periodo difficile dell’infanzia con immagini ripetute di figure infantili con le braccia alzate, i capelli ritti, il viso contorto e la bocca urlante. Altre sono scene dell’ospedale, immagini di infermiere sadiche in scarpe con tacco a spillo che lo sculacciano. Wenzel è noto soprattutto per disegni che presentano sfondi dai colori vivaci e immagini erotizzate di donne, con particolare attenzione ai piedi, gambe e scarpe. I soggetti femminili sono donne che Roy ha incontrato o semplicemente visto durante i suoi viaggi. A causa della sua neurodiversità, rimangono ancora oscure le motivazioni personali e l’interazione con l’arte. Ciò nonostante molti critici hanno apprezzato le sue opere per quella “bellezza strana”
Gabriella La Rovere
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