Willem van Genk: l’artista che dipingeva le città come le vede un “Cervello Ribelle”
Noi abbiamo spesso dichiarato che i nostri figli autistici sono “Opere d’arte”. C’abbiamo tanto creduto da scrivere “su loro misura” il “Manifesto della Disordinazione Artistica”. Abbiamo pure fatto creare da ragazzi un polittico che riassume il percorso dell’esistere autistico: “BELIEVE”. Giorni fa Gabriella La Rovere ci ha qui parlato della “Outsider Art” che potrebbe essere la corrente di pensiero più calzante per i nostri Cervelli Ribelli. Qui sotto, sempre Gabriella, entra più nello specifico raccontandoci di un esponente di “Art Brut”, che i parole povere sarebbe l’esprimersi artistico di noi bislacchi.
Willem van Genk è stato un esponente della cosiddetta Art Brut, termine coniato dal pittore Dubuffet per indicare le opere realizzate da alienati, bambini, persone comunque estranee a un ambiente culturale e prive di qualsiasi educazione artistica.
Willem nacque il 2 aprile 1927 a Voorburg, nei Paesi Bassi. Veniva da una famiglia abbiente, con un padre severissimo e ben nove sorelle. La madre morì per un cancro al seno che lui era piccolo. Già dalle elementari erano evidenti disturbi dell’apprendimento e difficoltà a relazionarsi con gli altri bambini, una forma di autismo che all’epoca veniva considerata né più né meno che una malattia mentale. I suoi scarsi risultati scolastici erano puniti severamente dal padre e questi episodi di violenza, sia fisica che verbale, incisero sulla sua fragilità psichica.
Cominciò a disegnare già da bambino. La sorella Tiny raccontò che Willem passava molto tempo sdraiato sul pavimento della cucina con una matita e un foglio di carta, totalmente immerso nei suoi disegni di strade ed edifici le cui facciate erano piene di dettagli, sembrava volesse riprodurre fedelmente ogni piastrella e ogni pietra. Lo spazio aereo era anch’esso particolarmente ricco, percorso da aerei e da un dirigibile.
Durante l’occupazione nazista il padre ospitò e nascose alcune famiglie ebree. La Gestapo, che controllava la casa da tempo, irruppe nell’appartamento trovando solamente Willem che venne sottoposto ad una serie di sevizie affinché confessasse. L’esperienza fu così devastante che i lunghi cappotti di pelle nera divennero la sua ossessione, furono il suo abbigliamento abituale e arrivò a collezionarli in vari colori.
Cercò di lavorare in una agenzia pubblicitaria, ma venne licenziato perché non rispettava i ritmi di lavoro e le consegne. Fu quindi messo a lavorare in un centro per disabili ma anche qui non riuscì ad inserirsi e considerò questa esperienza tra le peggiori, la causa di tutte le sue paranoie.
Su consiglio di un cognato presentò i suoi disegni a un professore dell’Accademia Reale delle Belle Arti che riconobbe il suo talento ma le difficoltà di apprendimento non gli consentirono di continuare gli studi e diplomarsi. Nel 1964 venne organizzata la sua prima mostra a Hilversum e fu un successo. Il critico d’arte Maarten Beks scrisse: Disegna le città come se fossero prigioni del passato. Le vedute cittadine di Willem sono imponenti, lo spettatore ha l’impressione di essere un nano, prigioniero di facciate inclinate e dei rumori del traffico, una pulce in un brulicare di torri, gru, tralicci che si estendono all’infinito. Il tutto in un momento in cui l’animazione, o piuttosto, l’agitazione delle metropoli europee non era così intensa.
Willem era abbonato a numerose riviste che poi rilegava disegnandone le copertine. Trascriveva brani di romanzi nella loro lingua originale, anche se ne aveva conoscenza da autodidatta tramite la radio. Ha scritto in tedesco, francese, spagnolo, russo e persino giapponese con pochi errori grammaticali.
Nel giro di poco tempo riuscì a mantenersi come artista e poté così realizzare il suo sogno: viaggiare e visitare le città straniere. Madrid, Roma, Francoforte, Berlino, Stoccolma vennero riprodotte in numerose tavole. La particolarità dei suoi disegni risiede nella loro grandezza, fino a due metri, e nei temi preponderanti, ossia treni, autobus, stazioni ferroviarie, sviluppati in due sistemi, sotterraneo e di superficie, dipinti uno sopra all’altro.
Willem viveva rintanato nel suo appartamento con la compagnia di un cane. Ben presto i vicini cominciarono a lamentarsi del cattivo odore e dei rumori notturni. Quando la polizia irruppe, trovarono il pavimento ricoperto da uno strato sottile, ormai asciutto, di feci del suo cane sul quale lui aveva dipinto. Venne quindi ricoverato in manicomio e il cane ucciso. Dimesso dall’ospedale psichiatrico, ritornò a casa ma ben presto ricominciarono i rumori, le lamentele e venne sottoposto a un altro tso.
Il triste epilogo della sua vita coincise con la sua consacrazione come artista. Poco prima della morte avvenuta nel 2005 per scompenso cardiaco, il suo disegno della stazione di Keleti a Budapest fu venduto per 100.000 dollari.
Gabriella La Rovere
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