Ancora sui “4 autistici” di Rosita Celentano
Sarebbe stata qualche anno fa solo una battuta passata nell’indifferenza, oggi la frase calata in un talk nazional popolare: “Sembravamo quattro autistici…” diventa un caso. Rosita Celentano ospite nella Domenica In di Mara Venier parlava di una vecchia edizione del Festival di Sanremo del 1989, a cui partecipò insieme a Paola Dominguin, Danny Quinn e Gianmarco Tognazzi. Dopo la pausa pubblicitaria imbeccata dalla Venier la ragazza chiede scusa, però senza mai nominare gli autistici come se fosse impronunciabili. Un ulteriore teatrino dell’ipocrisia, ma reso necessario da qualcuno che ha imparato a protestare quando sente pronunciare il termine autistico come sinonimo di “povero scemo”. Ci fa piacere vedere che la battaglia sull’uso improprio del termine autistico, che qui abbiamo spesso sollevato, è evidente che abbia dato qualche frutto. Gabriella La Rovere fa il suo commento.
I PRECEDENTI
Corradino Mineo cosa piffero ti fa ridere di un autistico?
Illuminati politologi se volete dare del coglione a qualcuno smettete di chiamarlo “autistico”.
È successo di nuovo, l’aggettivo autistico usato per definire un atteggiamento di inadeguatezza al contesto, di non partecipazione, di assoluta estraneità all’ambiente.
Per la facilità con la quale la parola viene pronunciata per poi chiedere subito scusa, ben sapendo la reazione che inevitabilmente provoca nei genitori che quella parola preferirebbero appartenesse al lessico di un altro nucleo familiare, viene da essere maliziosi e pensare che possa essere una trovata pubblicitaria, un modo per tornare sotto i riflettori.
Ricordo quel Sanremo del 1989 e ricordo la totale incapacità dei quattro conduttori, sicuramente giovani, inesperti, forse parte anche essi di un ingranaggio che chissà cosa voleva proporre di nuovo nel panorama del varietà televisivo. Ripensando a quel Sanremo credo che il termine autistici non sia giusto, mentre trovo più calzanti i vocaboli babbei, citrulli, scemi perché esprimono molto meglio quell’inesperienza che nessun abbonato Rai vorrebbe vedere in televisione, ben sapendo i cachet pagati a questi teatranti.
Definirsi autistici è un insulto per chi nello spettro è dotato di straordinarietà in campo artistico e che sicuramente avrebbe fatto una figura migliore proprio per quella eccezionalità. Giusto ventiquattro ore prima, uno di questi artisti si era presentato sul palcoscenico di Italia’s got talent sfruttando la sua bravura come cantante lirico per far passare il messaggio che autistico non significa solo urla, opposizioni, stereotipie, scarsa verbalizzazione, nessuna socializzazione, ma che ci sono persone eccezionali che meritano un posto nella società proprio per il talento, per i quali il compenso dato a certi personaggi dello spettacolo sarebbe più che meritato.
So perfettamente che alla quiete dopo il polverone alzato, le scuse fatte, i propositi di dedicare parte della settimana al volontariato, seguirà un’altra esternazione di un altro povero sventurato, dimenticato dalla politica o dallo spettacolo. Sappiate che noi genitori di persone autistiche non cadremo nuovamente nella trappola, non urleremo la nostra indignazione. Non siamo mica scemi! Il ricordo di una persona è sempre legato a qualcosa di fenomenale, lodevole, stupefacente, in qualunque campo lo si voglia applicare e per alcuni l’oblio è – ahimè – la naturale evoluzione.
Gabriella La Rovere