Pensare Ribelle

I miei ultimi sette anni da cantastorie dell’autismo

Sono 15 giorni che qui non diamo segni di vita. Eravamo altrove Tommy e io, ma siamo tornati. Siamo stati fuori del mondo civilizzato per respirare per staccarci dai doveri quotidiani, per fare finta che tutto possa risolversi passeggiando per i boschi, perdendosi nei campi gialli di colza in fiore, spiumacciandosi tra i puledri che smaniano per la primavera. Tutto sembra facile in campagna, le giornate si chiudono all’ora giusta e i pensieri ti lascino in pace fino a che c’è luce. La notte però no.

La notte proprio no, non ti lascia in pace. Forse perché in campagna il silenzio ti fa fischiare le orecchie, i pensieri partono all’attacco del fortino della tua mente. Così son dolori. Il pensiero che più mi tormenta è avvertire l’inutilità dello sforzo che faccio ogni giorno quando racconto e cerco di divulgare idee e pensieri sulla neurodiversità.

Ho iniziato dall’osservare mio figlio Tommy sul fare dell’adolescenza, ho seguitato raccontando le persone che vivevano la mia stessa esperienza di genitori, ho scritto libri, ho viaggiato, partecipato, discusso. Sono finito a ritrovarmi pure io autistico patentato e cervello atipico certificato. Mi sono anche inventato progetti, alcuni immensi e utopici che ancora galleggiano nell’aria, altri più concretamente attuabili, che hanno avuto felice esito hanno diffuso cultura, hanno creato modelli replicabili. (chi dovesse aggrottare le ciglia vada a ripassarseli qui).

 


Poi oggi Facebook implacabile mi ha restituito una foto del 30 aprile 2012.

Ho visto proprio mentre mi appuntavo questi pensieri me sette anni fa, ero in tandem lungo via dei Fori Imperiali, con Tommy al seguito e sullo sfondo il Colosseo. Ricordo benissimo quel giorno, l’ho raccontato nel mio primo libro, al ritorno quasi mi accapigliai con l’autista panzone di un bus turistico che, di fronte al Vaticano, ci aveva stretto con il suo mastodonte rischiando di schiacciarci sul marciapiede. Mi sono spaventato quando ho letto che quella foto è esattamente di sette anni fa!

Quel 30 aprile di sette anni fa Tommy aveva 14 anni, ancora un bambino sbarbatello e io avevo da poco iniziato a portarmelo dietro con costanza, perchè mi ero accorto che a lui serviva un padre molto più presente del normale.

Così sono sette anni che sono diventato  nel giro dei miei colleghi “quello con il figlio autistico”. In sette anni  in effetti sono stato monotematico, soprattutto all’inizio, al punto che un giorno un ascoltatore stanco di ascoltare programmi a sfondo autistico mi scrisse: “Ah Nicoletti ma se c’avevi una figlia velina ci parlavi tutto il giorno di figa?” .

I sette anni mi sono fatto pure un sacco di nemici, soprattutto tra quelli come me che non mi perdonano la visibilità, soprattutto quello: mi viene attribuita come colpa la possibilità che ho di divulgare e rendere molto visibile quello che scrivo e dico, in realtà quel poco di notorietà ce l’ho perché me la sono creata, facendo il mio lavoro e diventando per questo personaggio pubblico. Essere azzannato dal rosicamento di una parte dei tuoi “colleghi”  è comunque il minore dei problemi, capita anche nel lavoro e in questo giro l’amarezza passa quando si hanno priorità come quella di dover pensare ogni minuto al futuro di un figlio autistico.  Ora però confesso di trovarmi a un punto morto da cui sto riflettendo come uscire. Vi dico perchè.


Dopo sette anni sono ancora al punto di partenza

Per quanto mi sia dato da fare per oltre sette anni, ho l’impressione di non aver cambiato nulla, questo già è pesante da ammettere, ma non ho percezione di una più serena e informata cultura generale sull’autismo e dintorni. Se ne parla molto di più è vero, ma per la concreta e duratura inclusione dei nostri figli in una società attrezzata a consentire loro una vita dignitosa cosa esiste di specifico e consolidato? La mia impressione è che si viva in un tristissimo e opaco periodo di stagnazione. A farne le spese ancora una volta saranno i protagonisti in prima persona, i gigantoni autistici che a piccoli passi si allontaneranno sempre di più dai posti in cui la gente vive.

C’è stato un periodo di euforia effimera, sembrava che ci fosse una concreta e sincera attenzione istituzionale a considerare un problema non indifferente per un una fatta cospicua dell’intera società. Erano gli anni abbastanza recenti delle leggi, delle tavole rotonde, delle discussioni pubbliche. In molti ci hanno creduto, io per quel che mi riguarda nonostante abbia fatto convegni e tavole rotonde non ho ancora capito in concreto in cosa la legge sul “dopo di noi” potrebbe aiutarmi a costruire il futuro di Tommy. Mentre mi arrovello intanto vado avanti con le mie sole forze, come penso stia facendo la maggior parte delle persone che conosco e con cui condivido i problemi. Il tempo d’altronde cosrre velocissimo, Tommy ha già 21 anni e ancora non ho in vista nulla per il suo futuro. Si naviga a vista, giorno dopo giorno, chiudendo gli occhi e stando abbracciati quando si è soli, come se il tempo potesse immobilizzarsi.

Mi guardo in giro e cerco di capire cosa facciano gli altri. Sulle realtà associative non faccio conto, a me sembrano partiti, anzi correnti di uno stesso partito in continua guerra tra loro. Lo so che si dirà che mi sbaglio, che le cose non stanno così, che si stanno facendo battaglie per tutti.

Tanto meno riesco più a confrontarmi con  le mamme pancine dell’autismo, quelle che furoreggiano sui social, che per tutto il giorno si scambiano link sul trapianto della cacca o sul martire perseguitato della libera medicina che promette disintossicazioni, smetallamenti, guarigioni.

Può essere che abbiano ragione loro, sperimentino ogni possibile alternativa e magari risolvono, per me che sono vecchio e ho un figlio adulto oramai cambia ben poco. So solo che di sicuro domattina uscirò di casa e non sarà cambiato nulla, sia per me sia per Tommy. Io con una vita condizionata e senza speranza di autonoma felicità,  lui infilato nelle attività quotidiane che riusciamo a inventarci, docile e rassegnato sempre correndo avanti e indietro nel caos di una città ostile per chi ha difficoltà a muoversi nei mezzi pubblici, per chi odia le attese, che non tollera la ressa, che si distrugge sui tempi morti.

Che farò ora? Ricomincio da capo come se nulla fosse a bussare alle porte, a immaginare progetti, a scrivere e raccontare giorno dopo giorno?… Non ho risposta.

Intanto il tempo passa e mentre io così gioco mi invecchio sempre più, anche se il vampiro che ho accanto fa di tutto perchè io non me ne accorga, facendomi illudere che sia immortale.  Non avrei nemmeno domande in questo momento, so solo che non mi posso permettere per ora di essere qualcosa di meno di quel ragazzo del 1954 che si prende Tommy in tandem e lo scarrozza in giro per Roma. Domani mi procurerò fave e pecorino poi qualcosa mi inventerò.

Gianluca Nicoletti

Giornalista, scrittore e voce della radio nazionale italiana. E' presidente della "Fondazione Cervelli Ribelll" attraverso cui realizza progetti legati alla neuro divergenza. E' padre di Tommy, giovane artista autistico su cui ha scritto 3 libri e realizzato due film.

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