Pensare Ribelle

Quell’autistico di Sherlock Holmes!

«Sono un cervello, Watson. La restante parte di me è mera appendice»
 (A. C. Doyle “L’avventura della pietra di Mazarino”)

Il 22 maggio scorso si sono celebrati i 160 anni dalla nascita di Arthur Conan Doyle, medico, più conosciuto ed apprezzato come scrittore. La sua formazione scientifica e soprattutto il periodo che passò come assistente del dott. Joseph Bell furono importanti nel delineare il personaggio di Sherlock Holmes che, da un po’ di tempo, viene associato all’autismo.



È indubbio che si sta parlando di un personaggio di fantasia e che questa affermazione sia in realtà il risultato di una serie di luoghi comuni popolari con i quali viene percepita la neurodiversità, ma anche la summa di tutte le attuali conoscenze scientifiche. Un articolo sul New York Times del 2009 descriveva Sherlock Holmes come una persona incapace di percepire gli stati mentali dell’altro, impassibile, scortese. Un altro articolo del 2010 affermava che fosse affetto da sindrome di Asperger proprio per quel suo caratteristico modo di ragionare. L’anno seguente su Psychology Today si asseriva che Holmes dovesse essere autistico in quanto la sua ossessione nel risolvere i casi criminosi aveva messo in secondo piano ogni altra cosa della vita, compresa la possibilità di avere relazioni amicali e amorose. Nel libro “L’autismo. Spiegazione di un enigma” (2003), Uta Frith presenta Holmes come una creatura dotata di fredda ragione, incapace di relazioni e che trova in Watson il suo giusto complemento.

La diagnosi di autismo di Holmes è in parte una funzione della narrativa neurotipica di Watson. Quasi tutte le percezioni di Holmes sono filtrate attraverso la voce narrante del fido assistente: è forse più giusto affermare non tanto che Holmes sia autistico, ma che Watson lo percepisca come tale. Così, le avventure del detective, così come vengono narrate, presentano due diversi livelli di analisi:  c’è la descrizione del suo essere autistico, ma anche le reazioni di Watson a quei tratti.

Il personaggio fa la sua prima comparsa in “Uno studio in rosso” (1887). Siamo ben lontani dal 1911 quando la parola “autismo” comparve per la prima volta ad opera dello psichiatra svizzero Eugen Bleuler che lo definì un sintomo secondario della schizofrenia, caratterizzato da un ritiro dal mondo.

Già dalle prime pagine del romanzo viene messa in evidenza la stranezza di Holmes. Watson, medico in congedo per malattia, è in cerca di un alloggio che sia confortevole e a un prezzo ragionevole. Un amico gli consiglia di dividere un piccolo appartamento con un tale che lavora in un laboratorio di chimica dell’ospedale.

Ha delle idee un po’ strambe – è un entusiasta di determinate branche della scienza (…) I suoi studi sono privi di qualsiasi metodo e piuttosto eccentrici, ma ha accumulato una massa enorme di cognizioni insolite che lascerebbero a bocca aperta i suoi professori (…) Non è un uomo facile al dialogo, anche se può essere comunicativo quando ne ha voglia (…) Lo definirei quasi un animale a sangue freddo (…) Sembra nutrire un’insaziabile passione per le cognizioni esatte e definite.

È indubbio che tali descrizioni stuzzichino la curiosità di Watson, ne è sia attratto che preoccupato. Già dal primo incontro ha modo di verificare quanto riportato dall’amico. Holmes è impegnato in una ricerca sull’emoglobina, ma questo non gli impedisce di manifestare al nuovo coinquilino le sue straordinarie capacità deduttive. Lui stesso si descrive nelle stranezze, così da eliminare ogni successiva recriminazione

 In genere, tengo un po’ dappertutto delle sostanze chimiche e a volte faccio degli esperimenti (…) Quali altri difetti ho? A volte sono depresso e non apro bocca per giorni.

Ben presto, Watson è in grado di tracciare un quadro degli interessi di Holmes.

Dimostrava un interesse e uno zelo straordinari per determinati studi e, entro limiti eccentrici, le sue cognizioni erano straordinariamente ampie e minuziose (…) La sua ignoranza era notevole quanto la sua cultura. Di letteratura contemporanea, di filosofia e di politica era apparentemente a digiuno.

Watson comprende che la conoscenza di Holmes è più profonda che vasta. In questo modo egli incarna il lettore neurotipico, incapace di capire o di apprezzare gli interessi profondi di Holmes.

Ho scritto una piccola monografia sulle ceneri di 140 varietà di tabacco di pipa, sigaro e sigaretta.

Questa mancanza di comprensione contribuisce allo stereotipo dell’autismo come un fenomeno sconcertante e misterioso. Spesso Watson non può davvero dire al lettore cosa stia pensando Holmes. Altra caratteristica della neurodiversità è l’incapacità di stabilire le relazioni sociali e gestire le sottigliezze della comunicazione.

Si inchinò, e, volgendo le spalle senza osservare la mano che il sovrano gli porgeva, si allontanò con me verso casa (“Scandalo in Boemia” –  1891)

Holmes spesso oscilla tra silenzi e lunghi monologhi, parlando con l’aria di un professore di medicina che dà spiegazione agli studenti. L’impenetrabile natura del silenzio di Holmes suggerisce lo stereotipo comune che immagina le persone autistiche come intrappolate in una interiorità, separata dal resto del mondo da un baratro di silenzio. In qualche modo Watson contempla e rimane affascinato dallo stile comunicativo di Holmes, chiedendosi se questa differenza debba essere considerata un difetto.

Uno dei difetti di Sherlock Holmes – se così si può definire un difetto – era che era estremamente poco disposto a comunicare i suoi piani completi a qualsiasi altra persona fino al momento del loro pieno compimento

In vari punti del racconto si trovano esempi di stimming, ossia di stereotipie motorie, di comportamenti auto stimolanti che caratterizzano la neurodiversità ma non solo perché molte sono le persone neurotipiche che fischiettano quando impegnate in un’attività, che giocano con una ciocca di capelli o che tamburellano con i polpastrelli sul tavolo.

A volte la sera, sprofondato nella sua poltrona, chiudeva gli occhi mentre pizzicava oziosamente le corde del violino posato sulle ginocchia (…) Holmes cavò di tasca mezza sovrana con cui si mise a giocherellare con aria assorta

Sebbene Watson sappia che Holmes ha l’abitudine di camminare quando pensa, anche lui è preoccupato quando l’investigatore continua a farlo per tutta la notte.

Mi sentivo un po’ a disagio quando per tutta la notte, di tanto in tanto, sentivo il suono sordo del suo passo.

I personaggi neurotipici percepiscono lo stimming di Holmes come strano e malato e ciò li rende inquieti. Oltre a questo, Holmes ha un linguaggio del corpo che Watson fa fatica a comprendere arrivando a pensare che sia freddo e privo di emozioni. Secondo Watson, Holmes sembra raramente focalizzato sulla persona con la quale sta chiacchierando. Sono diversi i momenti in cui Holmes si siede dando la schiena a Watson o parla ai clienti tenendo gli occhi chiusi.

La lettura del personaggio di Holmes come autistico ha avuto ulteriore conferma dopo i recenti adattamenti delle sue storie (vedi film del 2009 e 2011 di Guy Ritchie) e ha favorito la creazione di personaggi di serie televisive nei quali la stranezza del comportamento è stato il valore aggiunto contribuendo così ad eliminare gli stereotipi considerati negativi.

Gabriella La Rovere

Redazione

La redazione di "Per Noi Autistici" è costituita da contributori volontari che a vario titolo hanno competenza e personale esperienza delle tematiche che qui desiderano approfondire.

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