La bambina, il pugile, il canguro
Qualche giorno fa una delle partecipanti al laboratorio di lettura ad alta voce che conduco da cinque anni, mi ha portato da leggere un libro della sua biblioteca: aveva sentito di un contatto con il giornalista Gian Antonio Stella e si era ricordata di avere un suo racconto facente parte di quelle collane che i quotidiani editano rendendo la cultura più accessibile.
«Te lo presto tanto so che lo leggerai in pochi giorni». In realtà è stata sufficiente poco più di un’ora. Non sapevo l’argomento e il titolo certo non aiutava. “La bambina, il pugile, il canguro” rimandava ad una fiaba, di quelle con il lieto fine. Dopo le prime pagine mi è stato subito chiaro che quella storia, in qualche maniera, mi apparteneva, ne condividevo ogni emozione. Anche il nome della bambina rimandava alla mia vita, quel nomen omen che va a sfidare ogni più nera previsione di vita.
Nel racconto Letizia è una bambina con sindrome di Down. «Mongolina»
«Down – aveva precisato il medico – la piccola è affetta dalla sindrome di Down. Vedrà che col tempo le parole mongolina e mongoloide daranno fastidio anche a lei». La nascita di Letizia è un duro colpo per la madre che la rifiuta. Non è facile accettare di aver dato vita a qualcosa di “incompleto”, è devastante pensare di essere condannati all’accudimento sine tempo, a vedere stravolta la propria esistenza, resa simile a quella di altre persone che abbiamo incontrato nella vita e che ci hanno strappato un “poveretti, che tragedia!”. Nella madre di Letizia lo sconforto ha il sopravvento sul naturale istinto materno e abbandona totalmente la lotta, sopraffatta anche dalle delusioni come donna.
Accanto a Letizia spiccano le figure dei nonni che suppliscono alla mancanza materna con la dolcezza e la pazienza che solo l’età e l’esperienza possono dare. Primo è un ex-pugile, inquietante e imponente nella figura, ma delicato nei confronti di Letizia alla quale racconta da subito storie di combattimenti leggendari come se fossero fiabe. Il personaggio di Nora sembra soffrire dell’irruenza di Primo, in realtà rappresenta tutto il lavoro silenzioso di accoglienza, accompagnamento e ascolto che sono importanti nella crescita di ogni bambino e fondamentali in chi ha una disabilità mentale.
Non poteva mancare la preoccupazione del dopo di noi che, nel caso dei due nonni, si manifesta anzi tempo. «Se manco io, chi si occuperà della bambina?» È la paura recondita che Nora condivide con l’amica. E il canguro? – viene da chiedersi quando mancano poche pagine alla fine. Il peluche gigantesco che il padre di Letizia porta come forma di riscatto, che varca la porta come un cavallo di Troia, non riesce ad avere la meglio perché il racconto ha il lieto fine come ogni favola che si rispetti. Per la prima volta la storia di una bambina “incompleta”, così come è narrata, frantuma ogni simbolo archetipico originario, riscrivendo la storia di questa umanità sofferente e discriminata in maniera totalmente diversa.
Gabriella la Rovere