Beato il Paese che non ha bisogno di mamme eroiche per includere autistici nelle sue scuole
Oggi Repubblica in un’intera pagina racconta la storia di Maria Gariup, che ha lasciato il lavoro per fare a tutti gli effetti il sostegno scolastico al figlio autistico Alessio, portandolo fino alla maturità. Ora la donna sta pensando a un’azienda agricola, dove avviare un’attività professionale per Alessio.
La scelta di Maria: “Io tornata sui banchi per mio figlio autistico”
Sembra che solo oggi ci si accorga che l’autistico maggiorenne sia “risucchiato nel buio” e soprattutto diventi una storia estiva esemplare quella che è una procedura che non dovrebbe esistere, neppure con il movente della disperazione. Non è compito delle mamme presidiare durante l’orario scolastico l’inclusione del figlio autistico, non possono essere le famiglie con azioni di “volontariato” a supplire a una carenza vergognosa da parte di chi dovrebbe istituzionalmente pensare al bene dei cittadini più fragili.
In ogni caso troviamo che di fronte a episodi del genere sia ancora di più sia valida l’idea di replicare il nostro progetto del “Casale delle Arti e dei Mestieri” che con il MIUR come capofila e altri validissimi partner come L’Università Di Tor Vergata a Roma si appresta ad entrare a settembre nella sua fase più operativa. Pubblichiamo come commento ulteriore la lettera della Presidente dell’ ANGSA nazionale Benedetta Demartis
Lettera aperta della Presidente ANGSA
Mi è capitato di leggere questa notizia, e la prima reazione è stata: caspita che mamma!!
La seconda è stata: brava questa scuola e il dirigente scolastico, che hanno aperto le porte a questa madre pur di far partecipare il ragazzo alla vita “normale” in compagnia dei suoi compagni.
Poi, più ci pensavo e più mi montava un certo malumore che si è trasformato in irritazione e infine in indignazione. (io sono un po’ lenta nelle reazioni).
Perché indignazione? Per diversi motivi che provo a spiegare, ma che nulla tolgono al rispetto che provo per questa mamma, e mi scuso da subito se la urterò con le mie osservazioni.
Mi fa arrabbiare che una madre si senta “costretta” a lasciare il suo lavoro per supplire alla incompetenza di altri. Perché in questo modo si impoverisce economicamente tutta la famiglia e questo non è giusto!
Mi fa rabbia che una madre debba dimostrare a insegnanti (quindi più preparati di lei) che dovrebbero avere una cultura di tipo pedagogico, che il ragazzo riesce con il giusto supporto a stare in classe.
Mi dispiace che il dirigente non abbia tra i suoi insegnanti qualcuno che conosca bene l’autismo, o che non abbia cercato all’esterno uno specialista che supportasse e facesse consulenze agli insegnanti di quella classe. Mi dispiace che i soldi investiti dal MIUR per organizzare gli Sportelli Autismo non abbiano portato a quella scuola le competenze necessarie a gestire quel ragazzo. E ancora mi fa male sapere che nonostante i decreti e le varie modifiche, la riforma scolastica non riesce a rispondere alla complessità che l’autismo mette cosi in evidenza.
Di sicuro il ragazzo ha un autismo di difficile gestione, ma se ci riesce sua madre, perché non riescono gli altri?
Mi è capitato di vedere ragazzi e adulti, rifiutati dai centri diurni o residenziali per la difficoltà degli operatori nella gestione dei problemi di comportamento. Ho visto operatori maschi inviati dal Comune a sostegno della domiciliarità, solo per poche ore al giorno e lavorare in coppia (2 operatori maschi!) su ragazzi o adulti con autismo, nel timore di morsi, pugni o altro. Lo stesso ragazzo o adulto veniva poi per le restanti ore e per tutto il fine settimana gestito da una madre single o vedova, alta un metro e mezzo!! E lei, pur in difficoltà lo portava a spasso, in piscina o al supermercato.
Torno a ripetere che l’autismo spesso è complesso, e per questo da anni ANGSA chiede a gran voce FORMAZIONE SPECIFICA a casa, a scuola, nei diurni e nei residenziali.
Non voglio più leggere di genitori che stanno in classe col figlio o che devono andare in gita altrimenti la scuola non lo fa partecipare. Che vengono chiamati a scuola per cambiargli le mutande perché non c’è il bidello che fa quella mansione. Che devono lasciare il lavoro (quasi sempre la madre) che viene relegata al ruolo di educatrice, badante e madre, come se la donna non avesse (come chiunque) altre aspirazioni da perseguire.
Lo dico ancora e con forza al Ministro dell’Istruzione, a quello della salute e a quello della Famiglia e Disabilità. Serve formazione specifica a chi è già pagato per l’inclusione scolastica, per la presa in carico sanitaria, per l’integrazione e l’inclusione nella vita della propria comunità.
Benedetta Demartis
Presidente ANGSA Onlus