Pensare Ribelle

Perchè a me, mezzo matto e padre di cervello ribelle, Joker ha tolto il sonno

Pensieri in libertà dopo aver visto “Joker” di Todd Phillips ; li condivido immaginando che l’avranno visto in molti, tra quelli che come me hanno un figlio “cervello ribelle”.  A me quel film ha riportato a galla i cupi scenari incombenti che, come tutti, provo  ad affogare nel mare del quotidiano, mi ha liberato angosce da recessi che pensavo essere riuscito a sigillare. A tratti mi sono sentito soffocato dal peso dell’immedesimarsi…

E’ un film che però conviene vedere, è sempre meglio non risparmiarsi occasioni per riflettere e riflettersi anche nelle possibili realtà future più indicibili. In sincerità la vicenda mi ha coinvolto anche molto nella mia persona, nella mia vicenda personale di cervello soppesato tardivamente, di bilanci di una vita che immancabilmente comincio a fare anche io come chiunque abbia la mia età e la mia condizione paterna.

Joker è un film sulla paternità maledetta, non ci piove. Già è prevedibile il sequel, perchè sull’ambigua assenza e presenza di un padre invadente quanto reticente si articola tutto lo sconquasso del protagonista. Non voglio fare spoiler eccessivi, ma  solamente dire che la parte che maggiormente farà dividere gli esegeti più ortodossi di Batman, vale a dire il sospetto che Joker possa essere suo fratellastro, rafforza in me la collazione autobiografica. Batman è il “sibling” perfetto, per rendermene conto sono andato a rivedermi subito il vecchio film “ortodosso” di Tim Burton e ancora di più mi è stato chiaro: introverso, molto in difficoltà lui stesso nei rapporti umani, maniacalmente secchione e portatore sano di una ferita che, per eterno pregiudizio, attraversa la sua stessa linea di sangue.

Nella narrazione del vincitore del Leone d’Oro a Venezia è mantenuto questo filo di continuità caratteriale: il piccolo Bruce Wayne, che entra in contatto con il protagonista Arthur Fleck, sembra perfetto come un prequel di Michael Keaton.: un bimbo severo e corrucciato, ancor prima dello scoccare della tragedia che lo renderà Batman. Sono andato pure su Netflix a farmi un’abbuffata intensiva della serie “Gotham” , e anche in quel caso mi ha colpito vedere il piccolo Bruce Wayne alle prese col maggiordomo sadico Alfred Pennyworth, che lo bastona per farlo diventare tosto e ottenendo in cambio dal piccolo, già sin troppo tartassato precoce,  tristezze viscerali e fasi anoressiche.

Insomma non tira una bella aria a Gotham City, sia che tu nasca Batman quanto ti tocchi essere Joker.  Arthur/Joker è massacrato nella mente da esperienze devastanti, il cui discrimine tra realtà, delirio e raggiro rappresenta l’esaltatore di sipidità della sua incolmabile sofferenza. Nel film si lascia intuire che sia figlio di una madre già profondamente vittima di stati mentali alterati, ma forse no, è solo un’ipotesi, nel successivo forse si scoprirà lei pure è vittima di un vergognoso atto di sopraffazione e raggiro, e se così sarà questo renderebbe ancora più massacrante il rintocco dei pensieri molesti nel cervello di Arthur.

Il dato sociale che più ci fa soffrire è la certezza che, anche nel tempo immaginario di Gotham City, non ci sia spazio per cervelli ribelli. Il sistema sanitario al massimo forniva un colloquio sporadico con una psicologa distratta, il cui unico compito era prescrivere farmaci. Poi taglieranno i fondi e sparirà pure quella, lasciando via libera all’entrata in scena di Joker.

Ancora di più è un attentato, per la nostra già compromessa serenità, il filo indistruttibile della gratuita sopraffazione del cervello diverso, quando questi attraversa la folla dei “normali”. Arthur non si nasconde, anzi accentua la sua “differenza” mascherandosi da clown, sostenuto da una pietosa narrazione materna che lo designerebbe della missione di far ridere il prossimo; lui pensa che questo debba tradursi in arte scenica, sbaglia perchè il suo destino è far ridere in quanto zimbello. Si prende calci e pugni per strada dai ragazzacci teppisti, si prende calci e pugni in metropolitana dagli yuppies strafatti. Solo perché è truccato da folle, ma sappiamo che rischierebbe di prenderseli  anche senza trucco, anche se fosse vestito come chiunque, anche se provasse a tacere, mimetizzarsi, essere trasparente…Questo ci atterrisce.

Qualcuno si accorgerebbe lo stesso che Arthur non è come gli altri. Anche se il suo vivere fosse la leggerezza fatta persona, sarebbe comunque impiombato dalla necessità collettiva di appesantire, con l’astio che rassicura, ogni volatile tentativo di sguardo laterale. Guai a far immaginare altro rispetto al gigantesco macigno su cui, il resto del mondo, ha lo sguardo fisso per ogni stante della propria ottusa esistenza. Per questo alla fine conviene a tutti  che Joker sia un pazzo assassino e delinquente, solo così la folla lo acclamerà e lo vedrà come il suo ineguagliabile eroe.

Nessuno si senta coinvolto da quello che ho scritto, è roba solo mia. Io mi sento Thomas Wayne e per le mani mi trovo sia Joker che Batman,  non avrei potuto che rovinarmi il sonno con questo piffero di film…

.

Gianluca Nicoletti

Giornalista, scrittore e voce della radio nazionale italiana. E' presidente della "Fondazione Cervelli Ribelll" attraverso cui realizza progetti legati alla neuro divergenza. E' padre di Tommy, giovane artista autistico su cui ha scritto 3 libri e realizzato due film.

Lascia un commento

Pulsante per tornare all'inizio